Il rito non generoso di Fiuggi | Arturo Diaconale

25 Settembre 2018
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Il Manifesto delle Libertà lanciato a Fiuggi da Silvio Berlusconi rappresenta una sintesi alta e solenne dei valori che sono alla base di una moderna democrazia liberale. E, per questo motivo, costituisce il pilastro fondante di una Forza Italia capace di ritrovare i contenuti del ‘94 per proiettarsi nel futuro del Paese occupando uno spazio politico indispensabile per dare al centrodestra il diritto ed il dovere di governare il Paese.

Ma le idee camminano sulle gambe degli uomini. E l’antica regola vale anche nel tempo presente. Benché per venticinque anni di seguito il partito fondato da Silvio Berlusconi abbia applicato la regola al singolare fissando il principio che le idee di libertà possano camminare sulle gambe del solo Cavaliere.

Si dirà che nella società della comunicazione e dell’immagine il processo di massima personalizzazione della politica introdotto nel nostro Paese proprio da Berlusconi sia diventato un principio obbligatorio. Chi dice che in questa chiave Matteo Renzi sia stato il figlio naturale di Berlusconi così come lo sono anche Matteo Salvini e Luigi Di Maio, non sbaglia di certo.

Ma nell’epoca in cui i discendenti del capostipite sono diventati i personaggi dominanti della scena politica nazionale ha un senso tornare a puntare solo sul fondatore per dare una prospettiva futura al partito portatore dei valori di una sana e moderna democrazia liberale?

A Fiuggi i dirigenti di Forza Italia hanno celebrato per l’ennesima volta il rito che consegna alle sole gambe di Berlusconi il compito e l’onere di far camminare le idee di una intera comunità politica. È stato un atto di omaggio, di fiducia e di affetto nei confronti del leader storico. A cui è stato chiesto di farsi carico per l’ennesima volta del compito di guidare Forza Italia nella prossima competizione elettorale europea e nella fase politica più difficile dell’intera sua storia. Ma mai come in questa occasione l’omaggio, la fiducia e l’affetto hanno nascosto l’idea di scaricare sul solo leader l’onere e la responsabilità di giocare la partita della vita del partito.

È difficile stabilire se questo atto sia stato giusto, cinico o disperato. Di sicuro non è stato generoso e proiettato verso il futuro!