Conte, da avvocato a inquisitore | Arturo Diaconale

6 Giugno 2018
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In qualità di avvocato degli italiani il Presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, conosce perfettamente che una delle ragioni della paralisi in cui è progressivamente caduta la Pubblica amministrazione è la paura di incappare in un qualche accidente giudiziario causato da un sistema caratterizzato dalla sovrapposizione di tali legislazioni diverse ma tutte caratterizzate dalla necessità di combattere particolari fenomeni criminali. Sulla legislazione anti-terrorismo si è innestata la legislazione antimafia e sulle due messe insieme è arrivata la legislazione anti-corruzione a cui si sono aggiunte misure di vario genere tutte ispirate a moltiplicare fattispecie di reato e a inasprire le pene.

Conte ha colto perfettamente nel segno quando ha rilevato come nella Pubblica amministrazione capiti ormai sovente che l’amministratore deciso a non fare nulla per paura di incappare inavvertitamente in una delle tante mine di questa stratificazione legislativa emergenziale faccia più carriera rispetto a chi assume delle responsabilità e finisce inevitabilmente nei guai. I sindaci, ad esempio, sono un esempio vivente di questo fenomeno. Chi opera rischia quotidianamente almeno l’accusa di abuso d’ufficio se non peggio. Chi rimane fermo non rischia nulla ma paralizza la propria città.

La logica più semplice e banale vorrebbe che per liberare la Pubblica amministrazione e l’intero Paese da questa cappa mortale (la paralisi della Pubblica amministrazione provoca la paralisi dell’intera società italiana) bisognerebbe ricondurre le stratificazioni a una sola legislazione non più emergenziale e liberare i dipendenti dello Stato a tutti i livelli dall’incubo che li ossessiona. Il ché non significa abbassare la guardia rispetto al terrorismo, alla mafia e alla corruzione e rendere l’attività amministrativa libera da qualsiasi principio di responsabilità. Significa, più semplicemente, prendere atto che di eccesso di emergenze si muore e regolarsi di conseguenza.

Purtroppo, invece, l’avvocato degli italiani deve attuare un patto di governo in cui si prevede l’esatto contrario. Il capitolo dedicato alla giustizia è ispirato al principio del trionfo dell’emergenzialità e alla volontà di aumentare senza alcun limite le misure destinate a rinforzare il sistema delle giustizie sovrapposte. L’introduzione dell’agente provocatore potrà anche portare alla scoperta di qualche potenziale corrotto, ma trasformerà in terrore la già grande paura degli amministratori di incappare in un qualche incidente di percorso o trappola giudiziaria.

Conte, dunque, rischia di deporre la toga di avvocato e indossare quella del pubblico inquisitore. In un sistema ispirato al principio del “Fiat iustitia et pereat mundus” tanto caro a chi ha una concezione paranoica della legge!