Il gioco del cerino tra Salvini e Di Maio | Arturo Diaconale

10 Aprile 2018
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I dirigenti del Pd sono convinti che tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio ci sia già un’intesa per dare vita a un asse Lega-M5S in grado di formare il governo. Ma delle convinzioni degli esponenti democrats non c’è molto da fidarsi. Normalmente sono infondate. Per cui non rimane che pensare all’ipotesi opposta. Cioè che tra Salvini e Di Maio non ci sia alcun accordo nascosto sul futuro governo e che la partita in corso tra di loro sia una delle tante edizioni di quel gioco del cerino in cui a vincere è chi riesce a far bruciare le dita dell’avversario.

Nella vita politica questo gioco è abituale. E molto spesso viene iniziato per saggiare la capacità di tenuta dei partecipanti senza arrivare alla conclusione della bruciatura. Chi capisce di avere una tenuta più debole abbandona la partita e cerca di cambiare gioco rinunciando alle proprie rigide posizioni di partenza e cercando un compromesso più o meno onorevole.

Tra Salvini e Di Maio, però, questa fase sembra essere stata superata. Il leader della Lega vuole comunque andare a vedere le carte di quello del M5S sostenendo che senza una intesa tra centrodestra e grillini non si può costruire un governo stabile. Di Maio, a sua volta, ha ribadito con la massima decisione che ogni ipotesi di accordo con la Lega passa attraverso la rottura del centrodestra con l’esclusione dalla coalizione governativa di Forza Italia e l’accettazione da parte dei leghisti della sua rivendicazione della guida dell’Esecutivo.

Ognuno, in sostanza, ha passato il cerino all’altro. Salvini sfidando Di Maio ad essere responsabile di fronte al Paese e a contribuire alla formazione dell’unico governo possibile per la legislatura a sua guida in quanto candidato premier della coalizione vincente. Di Maio intimando a Salvini di scaricare Silvio Berlusconi e di accettare la sua premiership senza prevedere alcun tipo di subordinate.

Che Salvini possa riuscire a far bruciare le dita a Di Maio sembra essere del tutto improbabile. Lo stesso vale per l’ipotesi opposta. Per cui non si può escludere che il secondo giro di consultazioni di Sergio Mattarella serva a certificare che si sono entrambi bruciati le dita e che la strada della formazione del governo passa per la scelta di un terzo nome.