L’accordo Salvini-Di Maio e la realtà | Arturo Diaconale

11 Aprile 2018
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C’è una tesi che dimostra l’incompatibilità governativa tra leghisti e grillini. È quella secondo cui Lega e Movimento Cinque Stelle stanno continuando la campagna elettorale in attesa dei voti del Friuli-Venezia Giulia e Molise prima di chiudere un accordo di governo. Ma in Italia si passa da un voto all’atro. Alla fine di aprile si apriranno le urne in due regioni e a giugno decine e decine di amministrazioni comunali dovranno essere rinnovate. Nel prossimo anno, inoltre, i cittadini saranno chiamati a eleggere i rappresentanti al Parlamento europeo. Per avere un governo bisognerà dunque aspettare le fine dello sciame sismico elettorale perché Lega e M5S hanno l’esigenza di fare il pieno dei proprio voti mostrandosi antagonisti ed alternativi tra di loro?

L’interrogativo pone il problema della singolare condizione in cui si trovano i due partiti usciti vincitori dalle elezioni politiche del 4 marzo scorso. Salvini e Di Maio si dicono disponibili a formare un governo insieme ma se vogliono tenere insieme i rispettivi elettorati debbono fare campagne elettorali all’insegna della diversità e dello scontro. Come conciliare, allora, l’esigenza di perdere il rapporto con la propria base con le spinte dei vertici a trovare un accordo di governo?

Identico e più forte interrogativo si pone per Matteo Salvini. Che nelle amministrazioni locali non ha rotto ma, al contrario, ha rinforzato i tradizionali legami con Forza Italia e il resto del centrodestra. Nel caso, però, dovesse trovare un accordo con Luigi Di Maio accettando il diktat grillino sull’esclusione di Silvio Berlusconi e del partito forzista, dovrebbe rompere un’alleanza ventennale nel Paese in nome di un’intesa tra forze alternative e concorrenti nel Palazzo.

La tesi secondo cui dopo il voto regionale si potrà arrivare alla soluzione della crisi di governo fa dunque a pugni con i dati politici reali. Sempre che, nel frattempo, Di Maio non si convinca che se vuole andare al governo deve rinunciare alla politica dei veti arroganti e offensivi e Salvini non riesca a convincerlo che l’unico modo per uscire dalla crisi salvando anche le esigenze elettoralistiche è di formare un Esecutivo di pacificazione e di emergenza.