“Capitale corrotta, Nazione infetta”. Quante volte negli ultimi decenni il titolo dell’inchiesta giornalistica di Manlio Cancogni è stato usato per denunciare lo stato di degrado di Roma? L’uso di quello slogan è stato talmente ripetuto da rendere una sorta di luogo comune l’immagine di una Capitale che, a causa della corruzione inguaribile che l’affligge, diffonde i germi della moderna peste in tutto il resto del Paese.
Quell’immagine scontata, però, va scomodata ancora una volta. Adeguandola a una realtà che non è solo quella della corruzione di stampo mafioso che infetta l’Italia ma che è anche, e in questo momento soprattutto, quella della grande monnezza che sommerge e cancella una grande bellezza patrimonio non solo del Paese ma dell’intera umanità.
È singolare che la campagna elettorale si stia giocando solo sulle promesse di riduzione delle tasse più disparate; promesse che, come quelle sulle tasse universitarie o sul canone Rai, sono destinate ad essere dimenticate subito dopo l’esito elettorale. Ed è ancora più singolare che un tema concreto come quello dell’irrisolta questione dei rifiuti romani, che riguarda direttamente i cittadini non solo di Roma ma dell’intera Italia e del resto del mondo, non sia ancora diventata uno dei temi dominanti della discussione tra le forze politiche.
Nessuno, ovviamente, può pensare di scaricare solo su Virginia Raggi e sul Movimento Cinque Stelle la responsabilità del degrado non solo etico e morale ma anche fisico di una Capitale maleodorante. Tutti sanno che queste responsabilità ricadono su alcune generazioni di amministratori capitolini. Ma la gestione grillina del Campidoglio dura ormai da troppo tempo senza che nulla sia stato concretamente realizzato per affrontare il problema. E, anzi, proprio su questa questione Virginia Raggi e la sua giunta hanno ribadito la loro scelta ideologica di puntare solo su una irrealizzabile raccolta differenziata respingendo ogni ipotesi di creazione di impianti industriali per il trattamento dei rifiuti.
In questa luce, il tema della brutta monnezza che uccide la grande bellezza diventa centrale nella campagna elettorale. Perché pone l’elettorato di fronte alla scelta secca e inequivocabile tra la modernità e l’antimodernità. I grillini scelgono la regressione irrealistica in un passato che non può tornare. Chi sceglie l’opposto lo deve gridare forte e chiaro!