Nessuno dubita che la sparata di Alessandro Di Battista contro la Lega sia, come ha detto Matteo Salvini, una “roba interna” del Movimento Cinque Stelle. L’ala movimentista che fa capo allo stesso Di Battista, a Roberto Fico e a Beppe Grillo (Davide Casaleggio pare essere più governista) mal sopporta il protagonismo del leader della Lega e non perde mai occasione di lanciare messaggi a Luigi Di Maio per ricordargli che la sua personale esigenza di mantenere in piedi il governo e la propria leadership deve sempre e comunque fare i conti con i valori fondanti del movimento.
La questione, però, non riguarda la natura interna dell’esternazione antileghista di Alessandro Di Battista, ma gli effetti esterni di questa voluta esibizione dell’esistenza sempre vigile dell’ala grillina ortodossa. Si dice che il collante del potere sia sempre più forte dei principi. Ma questa considerazione vale per l’ordinaria amministrazione. Quando i tempi si fanno più convulsi i principi tornano a diventare molto più forti del collante governativo. Anche perché sono indirizzati a dare vita a nuovi e diversi assetti di potere. Nel caso del Movimento Cinque Stelle è facile prevedere che fino alle prossime elezioni l’ala movimentista piegherà le proprie ortodossie all’esigenza superiore di tenere il piedi il governo a maggioranza pentastellata.
Ma se le elezioni amministrative e le successive elezioni per il Parlamento europeo produrranno risultati poco soddisfacenti, è facile prevedere che i Di Battista, i Fico, i Grillo non esiteranno un istante a presentare il conto a Luigi Di Maio. Non solo per farne il capro espiatorio delle eventuali sconfitte, quanto per mandare all’aria il Governo giallo-verde allo scopo di gettare le basi per un nuovo equilibrio politico fondato sul principio della nuova unità delle sinistre movimentiste. Il senso della sortita di Alessandro Di Battista, dunque, è quello di avvisare Di Maio che la sinistra del movimento non si affatto convertita al governismo con la Lega, ma è pronta ad uscire allo scoperto per assumere la guida dei Cinque Stelle nel momento in cui l’attuale capo politico grillino dovesse subire il suo primo rovescio.
Di Maio, in sostanza, ha un nemico a sinistra. Con cui presto o tardi dovrà fare i conti.