Gli stessi autorevolissimi personaggi che annunciavano come con la Brexit la City di Londra si sarebbe svuotata di capitali decisi a trasmigrare nell’Europa continentale per paura delle conseguenze drammatiche dell’uscita della Gran Bretagna dalla Ue, oggi hanno ribaltato esattamente la loro fosca previsione. E con la stessa sicumera messa in mostra in precedenza vaticinano che, a causa della Brexit e della prevedibile decisione di Johnson di fare di Londra un paradiso fiscale, l’Italia perderà ben presto una gran parte dei suoi capitali attratta dal fisco benevolo della “perfida Albione”.
Un rischio del genere non è affatto peregrino. E per scongiurarlo non basterà sicuramente la proposta di un veto del governo italiano ad un qualche accordo tra Ue e Gran Bretagna sul futuro accesso inglese al mercato continentale. Per battere la concorrenza fiscale, che di sicuro il governo conservatore inglese inserirà nella sua strategia economica, non serviranno né veti, né dinieghi, né barriere. Per battere la concorrenza non c’è altro modo che la concorrenza stessa. Ma la Ue è in grado di mettere in campo una concorrenza fiscale in grado di competere con la futura concorrenza fiscale inglese?
L’attuale Unione Europea non ha alcuna possibilità di fronteggiare la concorrenza con la concorrenza. Per il semplice motivo che la sua cultura politica dominante esalta a parole la libertà economica ma nei fatti non riesce a liberarsi delle pastoie dell’eredità ideologica delle varie forme di marxismo che hanno dominato la scena politica continentale dell’infinito secondo dopoguerra. La risposta alla Gran Bretagna decisa ad attrarre i capitali europei non verrà dalla Ue ma dai singoli stati che all’interno dell’Unione già adesso cavalcano la concorrenza fiscale a scapito degli altri paesi europei, come l’Italia, fermi all’idea che solo più tasse può garantire la conservazione dello stato sociale. Olanda, Irlanda e Lussemburgo, cioè i paesi che già da tempo garantiscono condizioni più favorevoli ai capitali europei schiacciati dai torchi fiscali dei propri paesi, saranno obbligati a rincorrere Londra con politiche sempre più accoglienti. Il tutto, ovviamente, a proprio vantaggio ed a discapito di chi rimane ostinatamente fermo sulla linea del “ più tasse, più assistenza”.
Uno scenario del genere dovrebbe far riflettere il governo italiano. Che avrebbe l’occasione storica di rilanciare la propria economia trasformando il Sud del paese in una zona fiscalmente più attrattiva di ogni altra presente in Europa ed oltre-Manica. Ma quale governo visto che quello attuale è capace solo di rincorrere l’archeologia culturale espressa dalle sardine?