Al governo piace il modello cinese | Arturo Diaconale

9 Marzo 2020
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È il modello cinese quello scelto dal governo per frenare la diffusione del coronavirus. Cioè il modello che prevede la chiusura ermetica delle zone, regioni e province, dove si sono registrati i principali focolai del virus e da cui non si può entrare od uscire per impedire che l’epidemia possa dilagare per l’intero paese.

I costi economici e sociali di una scelta così precisa e drastica sono evidenti. Paralizzare la parte più attiva e produttiva del territorio nazionale provoca automaticamente il blocco di ogni attività con conseguenze devastanti non solo immediate ma anche destinate a prolungarsi per un tempo difficilmente prevedibile. Da un punto di vista sociale, poi, la chiusura di Lombardia ed alcune province  del Veneto, del Piemonte, dell’Emilia e delle Marche aumenta fatalmente quella psicosi di massa che inizialmente si sarebbe voluto evitare e che sembra fatta apposta per far attribuire all’Italia l’etichetta di lazzaretto dell’Europa e dell’intero Occidente.

Rispetto alla certezza dei costi, però, i benefici del modello cinese non sono così certi. Le informazioni che vengono fornite dalle autorità di Pechino riferiscono che i contagi nelle zone chiuse sarebbero in diminuzione.

Ma la piena attendibilità di simili informazioni non è verificabile. Il sistema autoritario del partito unico non offre alcuna garanzia in questo senso visto che nessun regime di questo tipo si è mai mostrato disposto a fornire prove di propri eventuali errori.

Affidarsi al modello cinese, quindi, è una scommessa. Che può avere un esito positivo ma che, viste le differenze esistenti tra una società occidentale democratica avanzata ed una società orientale retta da un regime totalitario, può risultare un azzardo estremamente pericoloso.

Ma esiste un modello alternativo a quello scelto dal governo di Giuseppe Conte? Forse si. Ed è quello che, fondato sul parere degli scienziati secondo cui l’epidemia può colpire tutti ma può avere effetti letali solo per fasce ristrette della popolazione, dovrebbe essere indirizzato non a stravolgere la vita di ogni cittadino ma a potenziare al massimo le strutture sanitarie per metterle in grado di garantire l’assistenza ai malati più a rischio.

Quest’ultimo è il modello delle democrazie liberali. Ma siamo proprio sicuri che il nostro governo Preferisca un modello del genere a quello cinese? O non punti alla massima drammatizzazione Assicurata dal modello cinese per convincere l’Europa a farci fare più debito possibile da destinare alla solita assistenza per fini elettorali?