In assenza di altre idee spendibili, Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista hanno rilanciato la vecchia polemica contro la casta parlamentare promettendo che nel 2019 il Movimento Cinque Stelle si batterà per la riduzione degli stipendi ai senatori ed ai deputati. Il capo del grillismo di governo e quello del grillismo di lotta non hanno aggiunto che nei loro propositi c’è anche quello di una modifica della Costituzione tesa a dimezzare il numero dei rappresentanti del corpo elettorale in Parlamento. Ma il loro silenzio non significa che i Cinque Stelle rinunceranno al taglio dei parlamentari in cambio del taglio dei loro stipendi. Niente affatto. Punteranno a cogliere entrambi gli obbiettivi dimezzando al tempo stesso il numero e gli stipendi dei rappresentanti del popolo.
L’aspetto più singolare della vicenda non è solo che tra i problemi principali del Paese non figura di certo quello degli stipendi e del numero dei senatori e dei deputati. È anche che subito dopo l’annuncio di questa priorità assoluta da parte dei dioscuri del Movimento, il presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico, si è allineato al discorso di fine d’anno del Capo dello Stato Sergio Mattarella sostenendo l’assoluta necessità di difendere e rinforzare la centralità del Parlamento uscita ridotta e malconcia dalla totale assenza di un dibattito serio sulla manovra finanziaria del Governo.
Può essere che la sortita di Fico sia stata una sorta di atto dovuto. Il presidente di una assemblea legislativa non può non difendere il ruolo e la funzione dell’istituzione che rappresenta. Ma sarebbe bene che qualcuno spiegasse a Fico che la centralità del Parlamento non si conserva limitandosi ad assicurare la libertà di dibattito sull’azione dell’Esecutivo. Si conserva e si difende contrastando quanti usano l’esigenza dei tagli di spesa non per una ovvia necessità di contenimento della spesa pubblica, ma come strumento di umiliazione e di annullamento della democrazia rappresentativa.
Tagliare il numero dei parlamentari significa aumentare a dismisura la distanza tra gli elettori e i propri rappresentanti. E ridurre le loro retribuzioni significa non solo spingere le individualità più eccellenti a disertare il mondo della politica trasformato in una congrega di persone prive di qualsiasi capacità e merito. Per difendere la centralità del Parlamento bisogna difendere e rafforzare la sacralità delle assemblee legislative rendendole sempre più rappresentative, anche in termini qualitativi, del corpo elettorale.
Se vuole svolgere al meglio il proprio compito istituzionale, quindi, Fico non ha altra strada che combattere l’antiparlamentarismo di Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista ispirato dal rifiuto della democrazia rappresentativa di Davide Casaleggio. Se non lo fa, non gli resta che dimettersi. Per dignità!