Francesco condanna il populismo da lui prodotto | Arturo Diaconale

21 Giugno 2018
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Papa Francesco è convinto che l’Europa sia ormai esangue e moribonda e che l’unico modo per salvarla sia quello di innervarla con il sangue giovane e fresco delle masse d’immigrati provenienti dall’Africa e dai Paesi poveri del cosiddetto Terzo Mondo.

La convinzione del Pontefice non è solo un pensiero legittimo ispirato alla misericordia evangelica e alla visione negativa che un sacerdote proveniente dal Sud America nutre nei confronti di un Vecchio Continente concepito come l’artefice ormai decrepito del colonialismo predatore. Quella di Papa Bergoglio è stata una scelta politica concreta che è stata fatta propria e applicata senza alcun tipo di limite e condizionamento non solo dai sostenitori del globalismo multietnico ma anche e soprattutto dai governi italiani che si sono succeduti dal 2011 fino al Governo Gentiloni.

Quest’ultimo, con il ministro degli Interni Marco Minniti ha cercato di mitigare con i soldi a pioggia nei confronti dei capi e capetti libici l’intransigente applicazione della linea bergogliana. Ma fino a quel momento i governi di centrosinistra italiani non solo hanno adottato in pieno l’indicazione intransigente della Chiesa sul problema dell’immigrazione, ma l’hanno trasformata nel principale titolo di merito della propria azione politica. Nessuno può dimenticare come per lunghi anni la sinistra al governo abbia rivendicato di essere più papista del Papa sul terreno dell’accoglienza rilevando come il nostro Paese fosse l’unico dell’Europa a tenere le porte aperte in nome dell’umanità mentre tutti gli altri le chiudevano per egoismo e neo-razzismo.

Se Matteo Salvini si trova oggi al Viminale e può propugnare la chiusura dei porti, l’ostracismo alle navi delle Ong e la necessità che i Paesi europei rinuncino a considerare l’Italia il comodo campo di concentramento delle masse d’immigrati, deve ringraziare sicuramente non solo e non tanto la sinistra al potere che lo ha preceduto ma il Papa venuto da lontano che ha seminato il terreno su cui il leader leghista ha potuto mietere. Esiste, in sostanza, una responsabilità piena e diretta della Chiesa nell’esplosione del fenomeno populista ora condannato dal Pontefice. Affermarlo non significa mancare di rispetto nei confronti di Francesco, ma solo prendere coscienza che il problema dell’immigrazione non si risolve se non si incomincia a dire che la linea del Papa salva la coscienza ma crea disastri per lo Stato e per la comunità che la applicano.