Il caso Salvini e la delegittimazione per via giudiziaria | Arturo Diaconale

13 Febbraio 2020
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Durante gli anni dell’accoglienza indiscriminata suggerita dalla Chiesa di Papa Francesco e realizzata dai governi del Pd di Letta, Renzi e Gentiloni, non c’è stato un solo magistrato che abbia contestato ad un ministro dell’Interno o ad un Presidente del Consiglio il reato di favoreggiamento di immigrazione clandestina o di qualche altro reato connesso con una fattispecie molto simile alla tratta degli schiavi. L’obbligatorietà dell’azione penale vale per qualsiasi tipo di reato. Ma se, a dispetto della obbligatorietà, non c’è stato un solo magistrato che abbia avviato una qualche iniziativa giudiziaria a carico di quei governanti che hanno favorito l’immigrazione senza alcun tipo di controllo, la ragione è che in ogni Procura domina incontrastata una concezione dell’accoglienza in linea con il pensiero politicamente corretto condiviso da una larga fetta della popolazione italiana. Questa concezione impone una interpretazione delle leggi contraria ad ogni forma di limitazione e di controllo dei flusso immigratori ed esclude ogni tipo di interpretazione alternativa destinata a far considerare reato il favoreggiamento dell’immigrazione indiscriminata.

Alla luce di tale considerazione c’è un problema di fondo che viene posto dalla vicenda di Matteo Salvini. Se dalle prossime elezioni politiche dovesse scaturire una ampia maggioranza di centro destra contraria all’accoglienza indiscriminata e favorevole a forme di limitazione dei flussi migratori, il pensiero dominante presente all’interno della magistratura consentirebbe al governo di realizzare il programma di limitazione voluto dagli elettori? Oppure si assisterebbe ad una serie di iniziative giudiziarie dirette a contrastare la volontà popolare applicando la legge secondo la propria interpretazione particolare?

In apparenza sembra che l’argomentazione riproponga la questione dello squilibrio esistente tra giustizia e politica che si è accentuato negli ultimi trent’anni a causa dell’espandersi della cultura giustizialista. Nella realtà, invece, l’argomentazione pone un problema politico generale. Potrebbe bastare l’investitura popolare per consentire al centro destra di governare il paese? Oppure qualunque governo non di sinistra verrebbe di fatto delegittimato per via giudiziaria dalla parte ideologicamente orientata della magistratura?

La questione è seria. E pone come esigenza primaria di un centro destra al governo per volontà popolare la riforma radicale del sistema giudiziario e della magistratura!