Il garantismo secondo Cantone | Arturo Diaconale

22 Febbraio 2018
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È assolutamente condivisibile la preoccupazione mostrata da Raffaele Cantone, presidente dell’Anac, e da Gian Luigi Gatta, ordinario di Diritto penale all’Università Statale di Milano, nei confronti dell’introduzione dell’agente provocatore nel sistema giudiziario nazionale. La vicenda del figlio del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, ha sollevato questo problema. E molto correttamente il magistrato Cantone e il docente di Diritto penale Gatta hanno sottolineato come “le ragioni che suggeriscono di utilizzare la massima prudenza sono molteplici e, in ultima analisi, si richiamano all’insopprimibile esigenza di garantire il rispetto dei diritto fondamentali del cittadino di fronte alla giustizia penale”.

Tutto bene, allora? L’uso dell’agente provocatore è scongiurato dopo che il responsabile dell’Anticorruzione lo ha chiaramente bocciato? In realtà le preoccupazioni rimangono. Innanzi tutto per una questione di fondo. Cantone e Gatta si sono affrettati a spiegare che la loro argomentazione non nasce da una “questione di garantismo”, ma dall’“ossequio ai principi dello stato di diritto delineato dalla Costituzione”. Come se il garantismo fosse una sorta di degenerazione frutto della polemica politica e non il rispetto dei principi dello stato di diritto fissati nella Costituzione. E questa precisazione del nulla solleva il timore che anche Cantone e Gatta abbiano dimenticato che le Costituzioni sono nate non per rinforzare l’autorità dello stato ma per garantire i diritti dei cittadini fino ad allora spesso conculcati proprio dall’autorità dello Stato. La legalità non è costituita dall’applicazione ottusa della legge come vogliono i giustizialisti cultori dello stato etico e totalitario ma dal rispetto delle garanzie dei cittadini voluto dallo stato di diritto e dalle democrazie liberali.

Questa precisazione critica può apparire ingiustificata. Ma è bene ribadire che il confine tra stato etico e stato di diritto è dato dalle garanzie dei cittadini perché nella loro argomentazione contro l’uso dell’agente provocatore che non agisce contro l’attuazione del reato ma suggerisce e provoca il reato stesso, Cantone e Gatta si sono riferiti all’eventualità che la pratica venga adottata dal sistema giudiziario ma non hanno speso una sola parola contro l’uso mediatico e politico dell’agente provocatore. Cioè hanno accuratamente evitato di entrare nel merito della vicenda campana in cui l’azione di provocazione è stata compiuta da giornalisti al di fuori di ogni controllo giudiziario.

È probabile che Cantone e Gatta non abbiano affrontato l’argomento, cioè la legittimità o meno dell’uso mediatico e non giudiziario dell’agente provocatore, per non entrare nella polemica politica del momento. Ma è bene ricordare che le garanzie dei cittadini fissate dalla Costituzione non valgono solo sul terreno del diritto penale ma anche su quello della vita civile. L’idea di perseguire la virtù anche con strumenti che violano i diritti individuali è tipica delle concezioni totalitarie. In democrazia e nello stato di diritto queste idee e queste pratiche vanno bandite. Senza distinguo di sorta!