La risposta, ovviamente, è negativa. Il riconoscimento da parte degli Usa di Gerusalemme come Capitale d’Israele potrebbe diventare il primo passo di un processo di pace destinato a portare alla nascita di uno Stato palestinese con Capitale la parte araba della stessa Gerusalemme.
La banalità di questa considerazione mette in luce l’ipocrisia dei Paesi dell’Unione europea che hanno protestato contro Donald Trump pur sapendo che il Parlamento e il governo di Israele si trovano a Gerusalemme ormai da decenni. E anche quella del Vaticano, che si è unito senza alcun bisogno al coro delle ipocrite proteste europee. Ma la banalità della vicenda chiarisce anche la più profonda e vera motivazione della protesta. Che non è quella di negare un riconoscimento di una realtà di fatto ma è quella, molto più grave, di tenere sempre aperto il dilemma se Israele abbia diritto o meno all’esistenza.
I gruppi palestinesi, non solo quelli più estremisti ma anche quelli cosiddetti moderati, stanno dimostrando in queste ore di puntare sempre e comunque ad estirpare Israele dalla carta geografica del Medio Oriente. Quando si contesta l’iniziativa del Presidente degli Usa con l’argomento che “Gerusalemme è araba” si ribadisce implicitamente che per vedere affermato questo principio non c’è altra strada che la distruzione dello Stato ebraico. Hamas lo dice da sempre. Ma lo dice anche Hezbollah. E, soprattutto, lo ribadisce il regime komeinista iraniano che guida il mondo sciita e punta a conquistare l’egemonia sull’intera galassia araba.
I Paesi guida dell’Unione europea, in particolare Germania e Francia, a parole condannano l’estremismo arabo deciso a risolvere il problema del Medio Oriente procedendo alla distruzione d’Israele. Ma nel concreto e in nome dei propri interessi nazionali (economici e geopolitici) lasciano intendere che non si straccerebbero le vesti se mai si arrivasse a riservare allo Stato ebraico la stessa sorte dei Regni Cristiani di Terra Santa. Non a caso hanno aderito senza battere ciglio alla politica di abbandono di Israele portata avanti da Barack Obama e dai democratici americani e a quell’apertura statunitense all’Iran che favorisce i commerci con il regime komeinista ma spalanca la porta al rischio di un devastante conflitto nucleare in Medio Oriente.
E l’Italia? Come la sussistenza di Napoleone, segue passivamente gli interessi tedeschi e francesi. Senza capire che in caso di conflitto generalizzato nel bacino del Mediterraneo non sarebbero di certo tedeschi e francesi a preoccuparsi della nostra sorte.