La crisi della giustizia e quella del Pd | Arturo Diaconale

17 Giugno 2019
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Se è vero che tutti i salmi finiscono in gloria, è ancora più vero che tutti gli scontri di potere finiscono in un regolamento di conti all’interno del Partito Democratico. Il caso del Consiglio superiore della magistratura è sintomatico. Le lotte correntizie dilaniano la magistratura, soprattutto perché i contendenti usano le inchieste giudiziarie per liquidarsi a vicenda, e la scoperta dell’acqua calda secondo cui da sempre il maggiore partito della sinistra tratta il mondo delle toghe come una propria proprietà privata, offre l’occasione al segretario del Pd, Nicola Zingaretti, per rompere la pax post-congressuale nel partito e cercare di affondare definitivamente Matteo Renzi e la sua corrente.

In apparenza la faccenda può apparire come una sorta di banalizzazione partitica di una questione di primaria importanza come la crisi del sistema della giustizia nel nostro Paese. In realtà è proprio la dimostrazione dell’interconnessione esistente tra le liti nella magistratura e quelle dentro il Pd a mettere in mostra come alla radice della crisi della giustizia non ci sia solo la degenerazione del sistema correntizio delle toghe, ma ci sia soprattutto il condizionamento politico che dall’inizio degli anni ’80 la sinistra italiana ed il suo maggiore partito hanno esercitato in maniera continuativa su questo settore decisivo per la libertà dei cittadini e la tenuta del sistema democratico della Repubblica.

Se si vuole sul serio avviare una riforma della giustizia fondata sulla separazione netta tra politica ed amministrazione della giustizia, non si può non partire dallo smantellamento dell’egemonia esercitata per decenni dai dirigenti che si sono succeduti alla guida dei partiti cosiddetti progressisti. Una volta queste forze politiche erano il Pci e la sinistra Dc successivamente confluite nel Pd. Oggi lo scandalo del Csm sembra destinato ad accelerare il processo in atto di separazione tra i renziani eredi della Margherita ed i post-comunisti di Nicola Zingaretti. Ed è chiaro che la fine dell’egemonia perniciosa della sinistra sulla giustizia deve andare di pari passo con la fine dell’unità fittizia del Partito Democratico.

Naturalmente non basta sperare nella spaccatura del Pd per arrivare a separare la politica dalla giustizia. Il pericolo è che finita una egemonia ne scatti un’altra, magari ispirata a quel giustizialismo radicale che rende omologhe certe correnti della magistratura con le componenti più intransigenti del Movimento Cinque Stelle. Ma partire dalla fine dell’egemonia progressista per liberare le toghe dai condizionamenti della sinistra è già un passo in avanti. Per il resto basteranno leggi adeguate per impedire l’osmosi tra Procure e Parlamento e bloccare la tentazione di nuove egemonie devastanti.