L’aspetto più singolare dell’affermazione di Luigi Di Maio secondo cui, con il cosiddetto patto di governo Movimento Cinque Stelle e Lega, stanno “scrivendo la storia” non è l’evidente esagerazione di un personaggio politico che ha una così scarsa dimestichezza con la storia da scambiare un confronto tra delegazioni di partiti per una riedizione dell’incontro di Yalta.
Ciò che veramente colpisce nella parole di Di Maio è che il Movimento Cinque Stelle si è messo a fare la storia con la Lega con la stessa tranquilla indifferenza con cui avrebbe fatto la storia con il Partito Democratico. Senza l’intemerata televisiva di Matteo Renzi i grillini avrebbero trattato con i democrats e invece di discutere e trovare intese sulla flat tax, sulla sicurezza e sulla stretta all’immigrazione avrebbero discusso e trovato intese sul reddito d’inclusione e sulla necessità di tenere la pressione fiscale elevata per non penalizzare lo stato sociale e non far infrangere i limiti imposti dall’Europa.
Si sa che Di Maio e i suoi ideologi spiegano questa intercambiabilità programmatica sostenendo che nell’epoca del cambiamento non c’è più alcuna differenza tra destra e sinistra. Ma chi ha un pizzico di conoscenza di qualsiasi tipo di storia sa bene che chiunque punti a conquistare il potere si presenta come il campione del cambiamento che cancella i vetusti schematismi del passato. Il ripudio del vecchio serve a giustificare la rivendicazione del potere. Il ché può andare anche bene se si sa come verrà impiegato questo benedetto potere. Ma diventa un’autentica iattura se chi si propone come l’artefice del cambiamento non ha la minima idea su quale direzione dovrebbe essere data al cambiamento stesso.
Se si fa l’accordo sulla flat tax con la stessa determinazione con cui si sarebbe fatta l’intesa per il mantenimento della pressione fiscale vuol dire che la strada del cambiamento è solo quella che porta al potere per il potere. Una strada che spinge chi si prende il potere a compiere ogni nefandezza pur di non perderlo. Il tutto, ovviamente, sulla pelle dei sudditi del potere stesso.
La storia di Luigi Di Maio sembra avere questa caratteristica. Da combattere non in nome della conservazione del vecchio, ma della consapevolezza che in democrazia il potere per il potere porta all’autoritarismo.