Sulla manovra economica il Governo non può fare marcia indietro. Jean-Claude Juncker, Pierre Moscovici e compagnia bella sono convinti che facendo la faccia feroce e minacciando il Governo giallo-verde di far fare all’Italia la fine della Grecia (o, più semplicemente, del Governo Berlusconi del 2011) Giuseppe Conte, Luigi Di Maio e Matteo Salvini proclamino il “contrordine compagni” e riducano di qualche decimale l’aumento del deficit pubblico previsto per i prossimi tre anni. Ma il loro è un comportamento demenziale. Che ha come effetto quello di trasformare la manovra del 2,4 per cento nella linea del Piave attorno a cui non solo leghisti e grillini si pongono a difesa, ma la stragrande maggioranza del Paese si schiera all’insegna del “va fuori lo straniero”.
È probabile che, come avvenne nel 2011, i capi-bastone dell’Unione europea siano convinti di poter contare sulle “quinte colonne” interne italiane pronte a sostenere l’offensiva esterna pur di mandare a casa il proprio nemico interno. Ma ciò che avvenne con Silvio Berlusconi difficilmente può ripetersi adesso. Allora in favore del “partito dello spread” c’erano tutti i poteri forti nazionali, da quelli istituzionali a quelli economici, da quelli mediatici a quello ecclesiastico. La “quinta colonna” dell’epoca era estremamente ampia e fermamente decisa ad approfittare dell’attacco speculativo esterno per dare la spallata definitiva ad un governo berlusconiano che nel frattempo aveva perso pezzi e credibilità nel Paese.
Ora la situazione è decisamente diversa. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella giustamente si adombra se qualcuno ipotizza che il Quirinale possa essere uno dei sostenitori del nuovo “partito dello spread”. E tutti quei poteri che erano forti all’epoca della defenestrazione di Berlusconi oggi o si affrettano a schierarsi dalla parte del governo sovran-populista o languono in condizioni semi-disperate nella totale incapacità di comprendere le ragioni profonde e reali del loro declino.
I nuovi golpisti esterni, quindi, non possono essere sostenuti dai terminali interni. Anche perché loro stessi traballano in quanto espressione di equilibri politici ormai al tramonto e destinati a finire in occasione delle elezioni europee della prossima primavera.
La storia, dunque, non si può ripetere. Non sarà il “partito dello spread” a far cadere l’attuale Governo. Semmai la faccenda del ponte di Genova, delle Olimpiadi contese tra Torino grillina e il lombardo-veneto leghista, le grandi opere che non partono ed i centri per l’impiego che oltre a non funzionare non hanno impieghi da offrire.
Chi sogna l’ennesima calata degli stranieri per averla vinta sui propri avversari se ne faccia una ragione. E incominci ad occuparsi dei nodi irrisolti del Paese!