L’inciviltà della gogna mediatica | Arturo Diaconale

28 Novembre 2018
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Si può essere garantisti fin che si vuole e rilevare che fino a quando non verrà fatta chiarezza nella vicenda del padre di Luigi Di Maio, magari attraverso documenti ed atti processuali, bisogna evitare il “crucifige!” nei confronti del capo politico del Movimento Cinque Stelle. Ma anche da garantisti non si può fare a meno di essere realisti. E prendere atto che il clamore mediatico che si è scatenato dopo le rivelazioni delle “Iene” produce una criminalizzazione oggettiva di Di Maio e di tutta la sua famiglia.

Matteo Renzi e Maria Elena Boschi gioiscono al pensiero che tocca oggi a chi li aveva messi alla gogna per colpa dei rispettivi genitori subire quanto avevano dovuto incassare nel tempo passato. Ma, senza prendere in considerazione la tesi balzana secondo cui ci sono figli e figli e quello di papà Di Maio è sicuramente più virtuoso di quelli di papà Renzi e papà Boschi, non è accettabile questa sorta di applicazione pavloviana della legge del contrappasso.

Sapere che la gogna di cui si è stati vittime si scarica oggi sui propri persecutori è un modo di concepire la giustizia in termini di semplice vendetta. “Ieri a me, oggi a te”. Con l’evidente non detto che questo meccanismo possa essere perpetuato all’infinito trasformando il metodo della gogna mediatica nello strumento primario del confronto politico democratico.

Nessuno, ovviamente, può pensare che la lotta politica possa avere regole da duello tra gentiluomini con le armi spuntate. L’uso degli scandali, veri o presunti, per liquidare gli avversari politici è vecchio quanto il genere umano. Ma un garantista non può accettare che la legge del contrappasso della gogna diventi la sola regola del confronto tra avversari e concorrenti nel sistema democratico. Non solo per una ragione etica ma anche per un motivo pratico. Il metodo della gogna mediatica imbarbarisce la società in cui viene applicata perché abitua i cittadini a credere che calunnia, dileggio e violenze verbali varie siano non tanto lo strumento con cui frange estreme della classe dirigente regolano i loro conti quanto la consuetudine naturale della convivenza ordinaria.

Forse è una battaglia contro i mulini a vento indignarsi per le gogne mediatiche di qualsiasi genere a chiunque siano rivolte. Ma è il solo modo per difendere i valori del vivere civile in un Paese assediato dall’inciviltà!