La questione della Tav Torino-Lione entra prepotentemente nella campagna elettorale delle elezioni europee. La decisione del ministro pentastellato Danilo Toninelli di trovare una intesa con le autorità francesi per rinviare a primavera la decisione finale sulla grande opera non nasce da esigenze tecniche come si è voluto far sapere. Nasce esclusivamente dall’esigenza del Movimento Cinque Stelle di arrivare al voto europeo sbandierando al proprio elettorato No-Tav l’assenza di qualsiasi scelta in proposito. Per dimostrare di non aver piegato la testa su una posizione di principio della propria base più radicale e per conservare quel pacchetto di voti senza cui le previsioni pessimistiche sui risultati elettorali pentastellati verrebbero tragicamente confermate.
I rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali schierate a favore della Tav sono usciti dall’incontro a Palazzo Chigi scuotendo la testa e protestando contro il rinvio di una qualche scelta certa alla prossima primavera. Ma se si dovessero limitare ad esprimere del semplice malumore è certo che il rinvio alla primavera diventerà un rinvio alle calende greche. I grillini hanno bisogno di uno scalpo da agitare alla vigilia della campagna elettorale. E questo scalpo, dopo che la capigliatura della Tap è stata salvata, è rappresentato solo dalla Tav.
Più che scuotere la testa, quindi, i Sì-Tav dovrebbero scatenare una campagna di forte denuncia della strumentalità elettoralistica che si nasconde dietro le scelte di Toninelli e del Premier Giuseppe Conte. Gli interessi del Paese vengono piegati e cancellati a vantaggio di effimeri interessi elettorali del Movimento Cinque Stelle. E questa campagna, oltre ad aprire gli occhi agli elettori, dovrebbe spingere la Lega a riflettere attentamente sul rischio di perdere il rapporto con i ceti produttivi del Nord per andare incontro alle esigenze grilline e salvare un Governo che dopo le elezioni europee sarà comunque a rischio.
Con lo scalpo Tav, Luigi Di Maio riuscirà a conservare solo un pugno di voti. Ma non si può, per un pugno di voti, mettere a rischio una grande opera indispensabile per la ripresa dell’economia nazionale.