Da Andreotti a Di Maio | Arturo Diaconale
Leader of Five Stars Movement, Luigi Di Maio (C) at LA7 TV program 'Otto e Mezzo' hosted by journalist Lilli Gruber in Rome, Italy, 16 April 2018. ANSA. RICCARDO ANTIMIANI

17 Aprile 2018
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La politica dei “due forni” di Giulio Andreotti è passata alla storia della Repubblica Italiana come un esempio del cinismo amorale dello scomparso leader democristiano. Anzi, come il tratto distintivo del modo di fare politica non solo di Andreotti ma dell’intera Democrazia Cristiana.

Questo giudizio non vale oggi per la politica del doppio forno avviata con grande enfasi dal capo politico del Movimento Cinque Stelle, Luigi Di Maio. Allora il cinismo amorale andreottiano, che poneva sullo stesso piano destra e sinistra pur di mantenere la Dc al centro del governo del Paese, veniva indicato come la fonte di ogni nefandezza di cui veniva accusato il cosiddetto regime democristiano. Adesso il comportamento di Luigi Di Maio viene considerato non solo come un normale meccanismo del sistema proporzionale, ma anche come la dimostrazione del superamento degli schematismi ideologici del secolo passato e dell’assoluta equivalenza tra destra e sinistra. Insomma, allora i due forni democristiani erano un peccato, oggi i due forni grillini sono un’innovazione meritoria.

Ma ciò che vale per gli addetti ai lavori della politica vale per la base elettorale del Movimento Cinque Stelle? Ovvero, può un movimento che ha conquistato il 32 per cento del voto degli italiani all’insegna dello slogan “onestà, onestà” teorizzare e praticare la regola della assoluta intercambiabilità degli stessi soggetti politici (destra e sinistra) verso cui ha sollevato la vittoriosa questione morale in nome del diritto del capo politico grillino di assumere la guida del governo del Paese?

Conciliare l’onestà con il cinismo non è facile. Tanto più che il passaggio dalla virtù al peccato è stato così repentino da provocare una frattura tra il vertice e la base del Movimento. Una frattura che ha trovato la sua dimostrazione più clamorosa nelle intemerate dell’aspirante Che Guevara grillino, cioè Alessandro Di Battista, che ha usato a pretesto Silvio Berlusconi per ricordare a Di Maio che gli elettori di M5S non sono ancora pronti per la conversione alla rivisitazione dell’andreottismo amorale e come unica ambizione hanno quella di restare all’opposizione di tutti i forni possibili e immaginabili.

Ma quale governo Di Maio può nascere sull’ostilità della volontà popolare grillina?