Pd: una sola possibilità di sfuggire alla paralisi | Arturo Diaconale

13 Marzo 2018
13-marzo-2018.jpg

La paralisi in cui versa il Partito Democratico è fin troppo evidente. Se accetta di sostenere un governo a guida Di Maio stabilisce che hanno avuto ragione gli elettori che lo hanno abbandonato e sono confluiti nelle file grilline. Cioè si condanna a morte o, nella migliore delle ipotesi, a svolgere un ruolo del tutto ancillare al servizio del partito che in questo modo diventa la forza egemone della sinistra italiana. Lo stesso accade se decide di consentire, magari con un appoggio esterno, la formazione di un governo a guida Salvini. I suoi militanti di base non perderebbero un solo istante a imitare i compagni che li hanno preceduti nel correre in aiuto dei vincitori del Movimento Cinque Stelle. Per il Pd, allora, non rimane che l’arroccamento all’opposizione? In realtà anche questa terza possibilità è priva di qualsiasi sbocco. Per un partito che ormai da anni e anni ha fatto della propria vocazione governativa una sorta di dogma e ha intrecciato i propri desini a tutte le caste dominanti italiane e straniere, passare di colpo all’opposizione assumendosi la responsabilità di non consentire la nascita di alcun governo, diventa un atto di masochismo puro. Perché per essere degli oppositori ci vuole una maggioranza a cui opporsi. E se questa maggioranza non c’è a chi si può opporre il Pd se non a se stesso?

Ma è proprio vero che la situazione sia senza uscita per il partito del dimissionario Matteo Renzi? A ben guardare, un punto di fuga dalla paralisi ci sarebbe. Ma presupporrebbe non solo il coraggio di puntare ai tempi lunghi ma anche quello di calarsi fino in fondo nel ruolo di partito riformista di stampo europeo rifiutando una volta per tutte il mito dell’unità della sinistra e consegnando agli scissionisti e anche allo stesso M5S l’eredità di partito di lotta.

Se il Pd assicurasse la formazione di un governo di legislatura attraverso un patto alla tedesca con lo schieramento di centrodestra, avrebbe cinque anni di tempo per rinnovarsi, rigenerarsi, diventare il punto di riferimento di una grande area trasversale di responsabilità democratica e riformista. Ma c’è qualcuno disposto nel Pd a compiere una così lunga marcia verso la salvezza?