Matteo Salvini che scarica Gianluca Savoini fa parte del normale gioco politico, ma Giuseppe Conte che scarica Salvini non è un normale gioco politico ma una scelta precisa. Che indica come il Presidente del Consiglio abbia deciso di mettere in difficoltà il proprio vicepresidente leghista e schierarsi dalla parte dell’altro vicepresidente grillino deciso a sfruttare la vicenda delle presunte tangenti russe per mettere in difficoltà l’alleato concorrente.
La scelta di Salvini non provoca sussulti di sorta negli equilibri nazionali. Quella di Conte, che conferma in maniera clamorosa come il capo del Governo non sia affatto “terzo” rispetto alle due componenti della propria maggioranza ma sia espressione diretta del Movimento Cinque Stelle, non può non provocare uno scossone al quadro politico presente. Può essere che Salvini non voglia seguire le pressioni di chi dall’interno del suo partito gli chiede di staccare la spinta. E può essere che per fare bel viso a cattivo gioco il leader leghista accetti di presentarsi in Parlamento per parlare di cene e di inchieste fasulle. Ma lo strappo esiste. E nasconderlo sarebbe molto più grave di quanto sia il disconoscimento della conoscenza di Savoini.
Perché lo strappo favorito e sostenuto dal Premier non è solo una lite tra separati in casa, ma è l’occasione per disegnare la diversa maggioranza politica che Conte e Di Maio potrebbero perseguire nel caso la Lega decidesse di far saltare la maggioranza puntando alle elezioni anticipate a settembre o nella prossima primavera. Il caso dei rubli russi alla Lega costruito da ignoti servizi segreti sta diventando il banco di prova della possibile alleanza tra Cinque Stelle e Partito Democratico nel caso l’attuale Esecutivo dovesse venire affondato da Salvini. Una diversa maggioranza che potrebbe essere immediatamente benedetta dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, da sempre contrario alle elezioni anticipate e culturalmente agli antipodi della Lega e dell’intero centrodestra. E che potrebbe non trovare ostacoli neppure in quel Matteo Renzi che, dopo aver deciso di non puntare ad una scissione ma di cercare di riprendersi il partito, potrebbe trovare assolutamente conveniente favorire un ritorno al governo di un Partito Democratico di cui tornare ad essere il padre-padrone.
Per Salvini una spada di Damocle di questo genere può trasformare in salita la strada che fino ad ora ha percorso in facilissima discesa per l’inconsistenza politica dei grillini. Nel calcolo se mandare a quel paese Conte e Di Maio o piegare la testa non può non tenere conto di questa ipotesi, che più il tempo passa e più può diventare concreta.