Quando l’antifascismo diventa masochista | Arturo Diaconale

7 Maggio 2019
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Se l’inaugurazione del Salone del Libro di Torino non cadesse nella fase conclusiva della campagna elettorale, non ci sarebbe alcuna polemica sulla partecipazione all’evento di una casa editrice che oltre ad essere vicina a CasaPound pubblica un libro contenente una intervista a Matteo Salvini.

L’ondata di sdegno, condanna e esecrazione antifascista nei confronti di Altaforte, la casa editrice colpevole di concorso esterno in fascismo salviniano, ha una radice elettoralistica così marcata ed evidente che ogni discussione in merito alla vicenda appare non solo inutile ma anche ridicola.

Depurata della sua bassa strumentalità elettoralistica, però, la polemica si presta ad alcune considerazioni generali che sembrano sfuggire completamente a chi l’ha sollevata non solo per dare risonanza pubblicitaria all’edizione attuale del Salone del Libro, ma anche nella convinzione di compiere un servizio alla democrazia nata dalla Resistenza.

La vicenda, infatti, costituisce la conferma che negli oltre settant’anni del secondo dopoguerra l’antifascismo è stato sempre il fattore dominante delle campagne di criminalizzazione condotte dalle sinistre nei confronti dei propri avversari politici. Il primo a diventare il bersaglio della criminalizzazione all’insegna dell’antifascismo è stato Alcide De Gasperi alle elezioni del ’48. Poi è toccato a Mario Scelba, a Fernando Tambroni e, via via, a tutti i massimi dirigenti che avevano il compito di guidare la Democrazia Cristiana nelle campagne elettorali degli anni successivi. Poi, il processo di criminalizzazione ha riguardato con inusitata virulenza Bettino Craxi, diventato a tutti gli effetti un Benito Craxi affetto da social-fascismo soprattutto nel momento in cui la sinistra comunista entrava in crisi con il suo protettore e Stato-guida sovietico. E successivamente, la rappresentazione dell’Uomo Nero oggettivamente criminale in quanto espressione del fascismo risorgente, è spettata per vent’anni di seguito a Silvio Berlusconi.

Ora, senza considerare che in tutti i lunghi decenni del dopoguerra i presunti criminali neo-fascisti non hanno mai attentato alla democrazia repubblicana, l’accusa di voler tradire la Costituzione nata dalla Resistenza viene rivolta al leader della Lega Matteo Salvini nella speranza non solo di frenarne l’ascesa politica ma anche di trasformarlo nel pretesto di un’alleanza tra Partito Democratico e M5S in grado di costruire una unità della sinistra mai esistita in passato.

Chi si è affannato e si affanna ad usare politicamente il valore dell’antifascismo non si rende conto che in questo modo declassa e cancella il valore stesso. Lo trasforma in uno strumento di parte, oltretutto sempre più minoritaria. E rende sempre più difficile alla stragrande maggioranza del Paese di riconoscersi in uno strumento di perenne ed odiosa discriminazione nei confronti del proprio avversario politico del momento.

L’antifascismo masochista! Anche questa si doveva vedere!