Se sia possibile criticare un santo come Don Ciotti | Arturo Diaconale

20 Marzo 2019
diaconale20marzo2019.jpg

Don Luigi Ciotti è un santo. Magari un santo un po’ anomalo, visto che alle qualità da cui è derivata l’aureola ha affiancato la capacità di creare un’industria della bontà e della legalità che lo ha trasformato nel principale imprenditore italiano della solidarietà umana. Ma, anche se ha a che fare con il profitto e lo sterco del diavolo, sempre santo rimane. E per questa sua santità risulta avvolto da una spessa corazza di presunzione di infallibilità di giudizio. Nel senso che ciò che afferma don Luigi diventa automaticamente verità certa ed indiscutibile.

Capita, però, che ad occhi muniti di lenti laiche non sfuggano i forellini della corazza attraverso cui intravedere che la presunzione di infallibilità dovuta alla santità può nascondere affermazioni e convinzioni al limite della corbelleria. Si può, in questi casi, criticare il santo?

Laicamente non solo si può ma si deve. Soprattutto quando le possibili corbellerie vengono presentate da terzi adoranti in assiomi trasformati in principi di fede. Nel libro che Don Luigi Ciotti ha recentemente pubblicato per edizioni Gruppo Abele (una delle branche imprenditoriali del santo) “Lettera ad un razzista del terzo millennio”, si sostengono tesi assolutamente discutibili sul tema dell’accoglienza. Da quella che rilancia il senso di colpa di un Occidente accusato di aver depredato l’Africa ed i territori del sud del mondo a quella che definisce ipocrita la posizione di chi propone di “aiutare a casa loro” i migranti solo per nascondere la propria assoluta indisponibilità all’accoglienza. Tesi dirette a bollare come razzista chi si permette di rilevare come il manicheismo ideologico renda impossibile comprendere fenomeni storici complessi come il colonialismo europeo ed occidentale molto spesso benedetto dalla Chiesa cattolica e da quella protestante. E, soprattutto, chi osserva che l’accoglienza indiscriminata promossa da Don Luigi diventa la causa primaria del riemergere del razzismo e del sovranismo visto che l’integrazione dei migranti in Paesi sovrappopolati come quelli occidentali può avvenire solo per quote ridotte e controllate.

Insomma, è lecito affermare che il santo non ha sempre ragione? E magari maliziosamente ipotizzare che l’accoglienza senza se e senza ma finisce non solo con il risvegliare il razzismo ma anche garantire una fonte di alimentazione dell’industria della bontà e della solidarietà umana?