Forse non sarà “disposto” il combinato tra l’offensiva antileghista lanciata dal Movimento Cinque Stelle insieme ai soliti media della sinistra e le inchieste giudiziarie a carico di Armando Siri e del governatore lombardo Attilio Fontana. Ma se non lo è realmente, appare fin troppo virtualmente simile ai tanti esempi di uso politico della giustizia messi in atto negli ultimi decenni dal circo mediatico-giudiziario diretto sempre e comunque ad eliminare il leader della parte avversa al cosiddetto fronte progressista.
Questo aspetto virtuale pone un problema di primaria importanza in tutto uguale a quello che ha portato alla defenestrazione del sottosegretario leghista ed al tentativo di linciaggio ai danni del Presidente della Regione Lombardia. Il problema è quello dell’opportunità politica della permanenza in alti ruoli istituzionali di personaggi che sfruttano a vantaggio proprio e della propria forza politica l’azione niente affatto virtuale ma concretamente reale del circo mediatico-giudiziario.
La questione dell’opportunità politica, infatti, non può riguardare solo chi ha ricevuto un avviso di garanzia e deve rinunciare al proprio incarico istituzionale non per una qualche sentenza di condanna giudiziaria ma per l’ombra di discredito che può provocare il semplice sospetto di una sua eventuale colpevolezza. Se è il sospetto a stabilire le regole dell’opportunità politica, questo sospetto privo di riscontri reali deve poter valere anche nei confronti di chi ricopre incarichi istituzionali e sfrutta a proprio vantaggio l’uso politico della giustizia ai danni dei propri concorrenti politici.
I dirigenti leghisti che sospettano un rapporto privilegiato tra alcune procure ed alcuni magistrati ed il vertice del Movimento Cinque Stelle avrebbero tutto il diritto di porre la questione di opportunità politica nei confronti del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che non perde l’occasione di compiacersi dell’ottimo lavoro compiuto dal circo mediatico-giudiziario. Non esiste alcuna prova dell’esistenza di un simile rapporto privilegiato. E si può tranquillamente escludere che l’attuale ministro della Giustizia, che non sembra essere un emulo del Cardinal Mazzarino ma solo un modesto azzeccagarbugli, possa essere il regista di trame di tale portata. Ma il sospetto esiste, l’uso politico della giustizia impazza, il circo mediatico-giudiziario opera a pieno regime. E se il ministro della Giustizia non contrasta mai il funzionamento deformato della materia di sua competenza non si capisce perché non debba fare la fine di Siri. Per opportunità politica!