Bisogna fare i complimenti a Virginia Raggi per la brillante operazione d’immagine compiuta facendo cancellare l’immagine di Roma invasa dall’immondizia e dal degrado dall’immagine di Roma antifascista. L’idea di celebrare il Giorno della Memoria cancellando i nomi dei firmatari del Manifesto della Razza che portò alle leggi razziali del 1938 ha sicuramente un alto significato simbolico. Costituisce un atto di pentimento da parte di una città per le persecuzioni razziali compiute dal fascismo, per il rastrellamento del Ghetto, per la strade delle Fosse Ardeatine, tutti atti avvenuti nella Capitale e di cui Roma non fu solo spettatrice ma anche, e in varia misura, complice. Ma sarebbe ipocrita considerare l’iniziativa di Virginia Raggi solo come un atto simbolico di solidarietà e di pentimento della cittadinanza romana nei confronti della comunità ebraica. C’è anche un aspetto che nella società della comunicazione e dello spettacolo ha una grande importanza: quello della ricaduta mediatica e propagandistica. Ed è proprio per l’importanza di questa ricaduta che bisogna fare i complimenti alla Raggi e ai suoi collaboratori nel settore della comunicazione.
I firmatari del Manifesto della Razza a cui è stata intitolata una strada di Roma sono appena tre. Le targhe a loro dedicate sono tutte collocate nella periferia più anonima della Capitale. L’immenso stradario romano non sarà né sconvolto e neppure sfiorato dalla sostituzione di tre intestazioni stradali riguardanti tre nomi ormai ignoti alla stragrande maggioranza dei romani con l’intestazione di nomi altrettanto ignoti. Eppure, grazie a questa operazione a costo zero l’amministrazione grillina è riuscita a far coprire dal velo formale dell’antifascismo e dell’antirazzismo la realtà concreta di una città che una volta aveva come simboli la lupa e l’aquila e che ora si deve accontentare del maialino dei Casamonica.
Complimenti, allora, alla brillante operazione mediatico-propagandistica di Virginia Raggi. Ma accanto a questi complimenti anche due considerazioni. La prima è che buttare la sporcizia sotto il tappeto dell’antifascismo è un’operazione di breve respiro. I problemi reali non possono essere mai cancellati dalle mascherature formali. La seconda è che l’uso strumentale del Giorno della Memoria è diventato una pratica talmente abusata dal far sorgere il sospetto che agli ebrei sia riservato il destino di eterne vittime. Prima delle persecuzioni, e ora delle strumentalizzazioni!