Il rabbino Di Segni e il tabù non infranto | Arturo Diaconale
epa03631776 Rome's Chief Rabbi Riccardo Di Segni attending Pope Francis's inauguration mass at the St Peter's square, Vatican City, 19 March 2013. Pope Francis celebrated his inauguration mass before a multitude, as well as the president of his home country of Argentina and other world leaders. The 76-year-old was elected the 266th pontiff of the Catholic Church - the first from the Americas, following the surprise resignation last month of Pope Emeritus Benedict XVI. EPA/MAURIZIO BRAMBATTI

24 Gennaio 2018
24-gen-2018.jpg
È passata quasi inosservata l’intervista al "Corriere della Sera" del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, in cui il massimo responsabile religioso della comunità ebraica italiana ha denunciato i rischi provocati da una immigrazione musulmana incontrollata nel nostro Paese. Di Segni non ha avuto alcuna esitazione nel prospettare i pericoli che gravano sugli ebrei italiani e sull’intera comunità nazionale dall’ingresso non misurato e gestito di islamici decisi a rivendicare la superiorità della propria religione su ogni altra. È addirittura arrivato a prospettare l’eventualità di nuove persecuzioni e di un nuovo Olocausto citando la manifestazione avvenuta a Milano nelle settimane scorse in cui migliaia di musulmani immigrati hanno esaltato la strage degli ebrei compiuta da Maometto negli anni del suo avvento al potere. E nel farlo non ha esitato neppure a criticare Papa Francesco per la sua inesistente consapevolezza di una tragica eventualità del genere.

È passata quasi inosservata l’intervista al “Corriere della Sera” del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, in cui il massimo responsabile religioso della comunità ebraica italiana ha denunciato i rischi provocati da una immigrazione musulmana incontrollata nel nostro Paese. Di Segni non ha avuto alcuna esitazione nel prospettare i pericoli che gravano sugli ebrei italiani e sull’intera comunità nazionale dall’ingresso non misurato e gestito di islamici decisi a rivendicare la superiorità della propria religione su ogni altra. È addirittura arrivato a prospettare l’eventualità di nuove persecuzioni e di un nuovo Olocausto citando la manifestazione avvenuta a Milano nelle settimane scorse in cui migliaia di musulmani immigrati hanno esaltato la strage degli ebrei compiuta da Maometto negli anni del suo avvento al potere. E nel farlo non ha esitato neppure a criticare Papa Francesco per la sua inesistente consapevolezza di una tragica eventualità del genere.

Di Segni, in sostanza, ha rotto il tabù non dell’immigrazione in genere ma di quella dei credenti musulmani in particolare. Ma il suo grido d’allarme è caduto nel vuoto. Non un intellettuale, non un giornale, non una televisione ha raccolto la provocazione e ha aperto una discussione su un tema che sarà sicuramente controverso ma che è comunque altrettanto sicuramente di grande attualità e importanza.

Perché questo silenzio? Perché nel nostro Paese la celebrazione del Giorno della Memoria non diventa una importante lezione tesa a impedire che una tragedia del passato possa tornare a ripetersi nel presente e nel futuro?

Purtroppo il tabù denunciato da Di Segni resiste. E la ragione è il conformismo acritico e omologato che si è creato attorno alla posizione assunta dalla Chiesa su questo tema specifico. Papa Francesco non vuole innescare alcun conflitto di religione con il mondo islamico. E pone il tema della misericordia nei confronti dei migranti di qualsiasi tipo al centro dell’impegno della comunità cattolica mondiale. La sua è una scelta legittima. Ma che è stata adottata in maniera completa e passiva, senza un briciolo di analisi, di approfondimento, di discussione, dalla società italiana. In un Paese largamente laicizzato manca un minimo di coscienza laica. Ed è un paradosso che a stimolarne la ripresa sia un capo religioso come Di Segni e non qualche cattolico consapevole che l’acriticità passiva non danneggia solo l’Italia ma anche la stessa Chiesa.