Tra imbonitori e predicatori molesti | Arturo Diaconale
Il senatore Mario Monti a Palazzo San Macuto per l'audizione alla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario, Roma, 22 dicembre 2017. ANSA/FABIO FRUSTACI

23 Gennaio 2018
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Sembrava che la campagna elettorale dovesse essere caratterizzata, come sempre accade, da promesse mirabolanti lanciate non solo dai partiti espressamente populisti ma anche da quelli che si dicono antipopulisti e poi si comportano come i loro presunti avversari. Invece non è così. Perché a bilanciare le promesse più inverosimili, come il reddito di cittadinanza di 1600 euro per tutti o l’introduzione immediata di una tassa piatta del 15 per cento, sono intervenuti due fattori. Il primo è l’ennesimo ricorso alla mancia elettorale per categorie a vocazione governativa per questione di semplice sopravvivenza. Il secondo è la predica recriminatoria dei virtuosi falliti.

Sembrava che la campagna elettorale dovesse essere caratterizzata, come sempre accade, da promesse mirabolanti lanciate non solo dai partiti espressamente populisti ma anche da quelli che si dicono antipopulisti e poi si comportano come i loro presunti avversari. Invece non è così. Perché a bilanciare le promesse più inverosimili, come il reddito di cittadinanza di 1600 euro per tutti o l’introduzione immediata di una tassa piatta del 15 per cento, sono intervenuti due fattori. Il primo è l’ennesimo ricorso alla mancia elettorale per categorie a vocazione governativa per questione di semplice sopravvivenza. Il secondo è la predica recriminatoria dei virtuosi falliti.

La mancia in questione è la chiusura del contratto degli statali con un aumento di circa ottanta euro che verranno anticipati alla fine di febbraio, cioè alla vigilia del voto del quattro marzo. Correttezza avrebbe voluto che gli effetti del contratto scattassero subito dopo le elezioni per evitare di dare vita a una sorta di smaccato e vergognoso voto di scambio tra governo e categorie del pubblico impiego che dipendono dal governo stesso. Ma la correttezza non c’è stata. E il quattro marzo il governo e i suoi componenti potranno chiedere agli statali beneficati di manifestare con il voto la propria riconoscenza per la mancia degli ottanta euro.

I predicatori che salgono in cattedra per denunciare chi promette spese mirabolanti non si abbassano a toccare il tema delle mance elettorali. Puntano più in alto. Attaccano a testa bassa tutti i partiti, di qualunque colore essi siano, accusandoli di non seguire la via del rigore virtuoso che esclude ogni forma di riduzione della pressione fiscale e di promettere aumenti di spesa pubblica che comportano nuovi aumenti del debito pubblico. Il più intransigente di questi predicatori è il senatore a vita ed ex Presidente del Consiglio, Mario Monti, che è arrivato addirittura a suggerire agli elettori la diserzione dal voto per convincere le forze politiche a non abbassare la pressione fiscale e alzare il debito pubblico.

Ma tanta esibizione di virtù è molesta quanto le promesse mirabolanti. Non solo perché arriva a proporre una sorta di sciopero del voto inaccettabile in democrazia (Monti rimane sempre convinto della superiorità del governo dei tecnici a cui non serve la legittimazione popolare). Ma soprattutto perché non tiene minimamente conto che a fallire nel passato lontano e più recente non sono stati solo i partiti che oggi promettono mirabilie ma anche il suo governo di tecnici responsabile di essere riuscito ad aumentare il debito pubblico anche con l’uso sistematico di un rigore ottuso e di una austerità cieca.

Gli imbonitori saranno pure insopportabili. Ma i predicatori arroganti e molesti molto di più!