Il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda ha definito “irresponsabili” i dirigenti della multinazionale brasiliana Embraco che hanno deciso di chiudere la fabbrica di Riva di Chieri, spostarla in Slovacchia e licenziare i 497 dipendenti italiani. Ma in questa storia di categorie di irresponsabili ce ne sono almeno tre. La prima è sicuramente quella indicata da Calenda, cioè quella formata dai dirigenti di una multinazionale che chiudono e aprono aziende esclusivamente sulla base delle proprie convenienze del momento non calcolando la perdita di credibilità e di affidabilità che tale comportamento comporta. La seconda, con un carico di irresponsabilità decisamente maggiore, è rappresentata da chi si batté con la massima decisione per l’allargamento dell’Unione europea ai Paesi dell’Est presentando la decisione come la prova di un europeismo maturo e consapevole e nascondendo i problemi che l’operazione avrebbe comportato. La sinistra europea in generale e quella italiana in particolare si buttò a capofitto nell’impresa ignorando o mimetizzando che lo squilibrio tra sistemi sociali dell’Europa dell’Ovest e quelli dei Paesi usciti dalla devastante esperienza comunista avrebbe favorito l’espansionismo economico tedesco a tutto svantaggio dei sistemi industriali e produttivi delle altre nazioni, specie quelle mediterranee.
La terza categoria, infine, è quella a cui appartiene lo stesso ministro Calenda, che si colloca tra gli eredi di quella sinistra dell’allargamento irresponsabile e che scopre per motivi elettorali i drammi della delocalizzazione decisa da una multinazionale dopo non aver battuto ciglio per anni e anni di fronte alla delocalizzazione operata dalle aziende italiane verso i Paesi dell’Est europeo e la desertificazione industriale avvenuta nel nostro Paese per le stesse ragioni che hanno spinto l’Embraco a cercare migliore fortuna in Slovacchia.
Nessuno, ovviamente, ignora che le conseguenze dell’errore commesso nel passato dalla sinistra ulivista e prodiana sia oggi difficile da gestire. Riequilibrare le condizioni economiche, fiscali e sociali tra i diversi Paesi dell’Unione equivale a rifondare dalle basi la stessa Ue. Ma a un problema così serio non si può rispondere con la strumentalizzazione elettoralistica. E dispiace che a farla sia stato Calenda, che fino ad ora era apparso immune da questo difetto tipico di certi politici di basso conio.