Il pugno alzato nei banchi del governo da parte del ministro Danilo Toninelli non è il gesto di un rivoluzionario che ha appena conquistato il potere. È solo il gesto istintivo di chi pensa di aver appena conseguito un risultato e manifesta la propria gioia alzando braccio e pugno in segno di sfida e supremazia nei confronti dei suoi avversari.
Toninelli non si è comportato da sessantottino dopo l’occupazione di una facoltà universitaria, ma da tifoso di calcio dopo che la propria squadra ha segnato un goal. Certo, lo ha fatto da ministro della Repubblica, nell’aula del Senato e sui banchi del Governo. Ma che ci vuoi fare? Il personaggio è così: un tifoso da curva. Ed il suo braccio strappato non all’agricoltura ma allo stadio segna la misura esatta del livello della classe dirigente a cui la sorte ha dato il compito di guidare il Paese in questo periodo. D’altro canto il buon Toninelli non è il solo a fornire una indicazione del livello degli attuali governanti.
Quando Luigi Di Maio risponde a Matteo Salvini sulla faccenda degli inceneritori sostenendo che questi impianti non c’entrano una “beneamata ceppa” nella questione dello smaltimento dei rifiuti, non offre un segno della propria cultura popolare ma indica con estrema chiarezza che il dibattito politico tra le massime cariche dello Stato è arrivato al livello delle diatribe da bar tra sbandati di periferia. E ne vogliamo parlare del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede? L’idea che nell’arco di alcuni decenni si è passati dalla sapienza giuridica di un Giuliano Vassalli alla insipienza generalizzata del povero Bonafede provoca non solo meste considerazioni su come si sia caduti in basso, ma suscita inquietanti interrogativi sulla brevità della distanza che ci separa dal fondo dell’abisso.
Toninelli, Di Maio, Bonafede, sono i testimoni della fase di incompetenza al governo che il Paese si trova a vivere. Cresce, ovviamente, nell’opinione pubblica la consapevolezza che questa incompetenza va eliminata prima che i danni prodotti diventino irreversibili. Ma questa consapevolezza cresce in misura proporzionale con la constatazione che non esiste ancora, per dirla alla Di Maio, nessuna “beneamata ceppa” di alternativa al governo degli scappati di casa.
O questa “ceppa” di alternativa nasce oppure non c’è da sperare che l’alternativa la faccia Salvini!