Il declino del movimento grillino | Arturo Diaconale

19 Febbraio 2019
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Sul piano quantitativo gli arresti domiciliari per i genitori di Matteo Renzi bilanciano e sopravanzano le divisioni mostrate dal Movimento Cinque Stelle nel voto sulla piattaforma Rousseau sul caso “Diciotti” e sulla sorte giudiziaria di Matteo Salvini. Ma su quello politicamente qualitativo non c’è possibilità di confronto tra le due vicende. È vero, i provvedimenti giudiziari per il padre e la madre dell’ex premier hanno conquistato le aperture dei telegiornali e le prime pagine dei quotidiani ponendo in una posizione subordinata la spaccatura del mondo grillino. Ma tra qualche giorno l’attenzione mediatica su papà e mamma Renzi scemeranno e la faccenda si trasformerà in uno strumento polemico nelle mani del figlio Matteo in cerca di rilancio e di vendetta nei confronti di chi lo vorrebbe asfaltato per effetto giudiziario riflesso. La spaccatura del Movimento Cinque Stelle, invece, continuerà ad essere al centro del dibattito politico. E anzi, dopo i risultati delle elezioni regionali in Sardegna destinati a ricalcare quelli dell’Abruzzo, diventerà sempre di più il tema che segnerà la fase finale della campagna elettorale per le Europee.

La divisione tra grillini ortodossi e quelli governativi è, in realtà, la divisione tra chi non accetta il ruolo sempre più autoritario ed accentratore del “capo politico” Luigi Di Maio e chi difende a spada tratta la leadership del vicepresidente del Consiglio ed il sistema di potere di cui è entrato o spera di entrare a far parte. Naturalmente la personalizzazione della divisione nasconde le motivazioni politiche. Cioè la convinzione dell’ala ortodossa che l’unica speranza di sopravvivenza del movimento sia quella di tornare alle origini ed all’opposizione intransigente contrapposta alla certezza dell’ala governista che restare al governo il più a lungo possibile sia l’unica strada per consolidare una forza politica al momento ancora allo stato gassoso.

Ma tutte queste motivazioni, anche le più articolate e meditate, sono destinate a ridursi in estrema sintesi nel dilemma sulla persona di Luigi Di Maio. Deve continuare ad essere il “capo politico” o deve rientrare nei ranghi lasciando il campo ad una leadership collegiale?

Al momento prevale il sì al primo interrogativo. Dopo le elezioni europee potrebbe verificarsi il contrario. In un caso o nell’altro quando in un partito si apre il dibattito sulla sorte del leader il declino è avviato!