La codifica dell’incertezza del diritto | Arturo Diaconale

18 Febbraio 2019
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Dopo Matteo Salvini tocca a Giuseppe Conte e Luigi Di Maio essere indagati per il caso “Diciotti”. E se la logica ha un senso il giorno in cui il Tribunale dei Ministri di Catania presenterà, come fatto per il ministro dell’Interno, una analoga richiesta di autorizzazione a procedere per il Presidente del Consiglio e per il vicepresidente grillino, il Movimento Cinque Stelle dovrà chiedere alla piattaforma Rousseau se i suoi parlamentari dovranno decidere se mandare a processo o meno i suoi massimi dirigenti. È difficile, infatti, che in questo caso Conte e Di Maio possano seguire la strada che insistono nel suggerire a Salvini, cioè di lasciarsi processare senza porre il Parlamento nella condizione di dover decidere. Perché, così come capita per il leader leghista, anche il capo del Governo ed il capo politico del Movimento 5 Stelle sono convinti che la strada giudiziaria sia assolutamente imprevedibile e possa riservare le più amare sorprese anche a chi sia certo e stracerto della propria assoluta innocenza.

Si fa un gran parlare da ogni parte della “certezza del diritto”. Ed ecco che viene certificato, non da cittadini qualunque ma dai massimi rappresentanti del potere esecutivo, che nel nostro Paese vige il principio della assoluta incertezza del diritto. Cioè che per qualsiasi cittadino, dal più umile al più altolocato, essere sottoposto a giudizio comporta non solo avere la vita disastrata moralmente ed economicamente per l’intera durata del procedimento ma, soprattutto, significa partecipare ad una sorta di roulette russa che può concludersi indifferentemente nella salvezza o nella rovina del malcapitato.

Nel caso di Salvini, Conte e Di Maio l’incertezza del diritto può portarli a vedere riconosciuto che in uno stato di diritto le scelte della politica non possono essere sempre e comunque subordinate alle volontà di pezzi della magistratura (altrimenti perché si farebbero le elezioni?). Ma può anche condurli verso una condanna che per il combinato disposto con la Legge Severino, realizzata ai suoi tempi per liquidare Silvio Berlusconi, li espellerebbe per parecchi anni dalla politica attiva.

L’imprevedibilità e l’incertezza del diritto dipendono non dalle bizze di qualche singolo magistrato, ma da un sistema complessivo che sull’onda della pressione giustizialista si è venuto a creare nel corso degli ultimi trent’anni. Quell’onda che ha prodotto il Movimento Cinque Stelle e che oggi punta a divorare la proprie creature. Sempre, ovviamente, che queste ultime non si rendano conto di essere vittime delle proprie follie e non agiscano di conseguenza.