Non accenna a cessare la guerra a parole che il governo italiano combatte con la Francia per le vicende della Libia. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ed il vicepresidente leghista Matteo Salvini non rinunciano ad ammonire il presidente francese Emmanuel Macron a non interferire nelle questioni libiche con lo scopo di strappare all’Italia gli interessi petroliferi presenti nella vecchia colonia. Per dare concretezza ai propri moniti, Conte non ha esitato a prospettare una crisi della comunità europea nel caso Macron dovesse continuare a sostenere il generale Khalīfa Ḥaftar nel tentativo di conquistare Tripoli e fare piazza pulita del governo di Fayez al-Sarraj sostenuto dall’Onu e dall’Italia.
Ma non uno di questi ammonimenti pare sia in grado di fare effetto. L’Eliseo smentisce ma risulta che gli aiuti ad Ḥaftar da parte della Francia continuino ad arrivare e sembra addirittura che sia stata accertata la presenza di “consiglieri” francesi tra le truppe del generale impegnate nell’assedio della capitale libica.
Le parole, in sostanza, non sembrano efficaci. Neppure quelle che ipotizzano una crisi dell’Unione europea. E non lo sono perché agli occhi di Macron l’Italia è un interlocutore troppo debole per poter fermare con i soli ammonimenti verbali la sua strategia di conquista degli interessi italiani in Libia.
Di fronte a questo atteggiamento si può gridare quanto si vuole contro l’arroganza e la prepotenza dell’inquilino dell’Eliseo. La sostanza, però, non cambia. Se l’Italia vuole che le sue rimostranze abbiano una qualche efficacia deve essere in grado di dare una qualche concretezza alle parole. Ma come?
L’opzione militare è stata esclusa sia da Conte che dalla ministra della Difesa, Elisabetta Trenta. Ed è logico che non possa essere presa in considerazione perché l’idea che l’Italia possa mandare le proprie truppe a sostenere il governo traballante di al-Sarraj non solo è irrealistica ma anche ridicola. Altrettanto priva di senso è l’ipotesi dell’opzione militare ridotta, cioè quella degli aiuti senza truppe di supporto per Tripoli. Perché legherebbe in maniera indissolubile il destino degli interessi italiani in Libia alla sorte di un governo destinato comunque al tramonto come quello di Tripoli.
Scartate queste possibilità, allora, dell’opzione militare rimane solo quella di non escludere la possibilità di interventi mirati solo alla difesa degli impianti petroliferi su cui si incentrano gli interessi italiani e solo nel tempo necessario per la pacificazione del Paese. Un azzardo? Forse. Ma se si teme di fornire anche la più minima manifestazione di forza è meglio ritirarsi del tutto dalla quarta sponda e prepararsi per tempo alla inevitabile invasione dei barconi che seguirà la caduta di Tripoli.