Destini paralleli per Forza Italia e Partito Democratico, partiti al momento segnati dalla comune difficoltà di ritrovare lo smalto del passato, per tornare ad essere soggetti determinanti nella politica nazionale, ma anche da discussioni laceranti all’interno dei rispettivi gruppi dirigenti sul tema delle primarie come strumento di scelta dei futuri massimi rappresentanti.
In Forza Italia, almeno formalmente, tutti sembrano d’accordo sulla necessità di sostituire il metodo della cooptazione dall’alto con quello democratico del voto dal basso, per rinnovare le strutture del partito. Dietro l’apparente unanimità, però, si manifestano divisioni laceranti su come dovrebbe funzionare il cosiddetto metodo democratico. C’è chi si augura che, alla fine, torni a decidere tutto Silvio Berlusconi, liberando i suoi collaboratori dal peso di responsabilità a cui non sono minimamente abituati. Ma, soprattutto, c’è chi punta sulle primarie dividendosi però sulle modalità di questi sistemi di selezione del gruppo dirigente. Giovanni Toti le vuole aperte a tutto il mondo del centrodestra per riavvicinare a Fi anche quei mondi che si sono allontanati e sono passati all’astensione, alle liste civiche o agli altri partiti del fronte moderato. Mara Carfagna e Mariastella Gelmini le vogliono riservate ai solo iscritti forzisti e non nascondono affatto il sospetto che l’idea di Toti sia quella di poter contare sui voti degli amici di Salvini e della Meloni per conquistare la leadership di Forza Italia. La divisione non è sul principio se le primarie debbano essere aperte o riservate ma sugli interessi dell’uno e delle altre, divisione che proprio per questo motivo difficilmente potrà trovare un punto d’intesa.
Lo stesso vale per il Partito Democratico. Qui non si discute sull’apertura o meno delle primarie, questione che non si pone vista l’inesistenza di forze esterne interessate alle liti interne dei democratici. Si discute e si litiga se le primarie debbano servire ad eleggere un segretario destinato ad essere anche candidato premier alle elezioni politiche o se, invece, le due cariche debbano essere separate e mai più riunite insieme.
Anche in questo caso la questione non verte sui principi ma sugli interessi. Gli esponenti renziani vogliono le primarie destinate ad eleggere un segretario automaticamente candidato premier. E lo vogliono perché hanno tutta l’intenzione di tornare a candidare alla leadership del partito e, possibilmente del governo, l’ex presidente del Consiglio deciso a puntare alla rivincita. Tutti gli altri, a partire dall’attuale segretario Nicola Zingaretti, sono fermamente contrari all’idea perché vedono come la peste l’ipotesi di una rivincita renziana e, pur di evitarla, sarebbero ben felici di assistere ad una scissione degli amici del pestifero toscano.
Nessuno è in grado di prevedere come finirà in Forza Italia e nel Partito Democratico. Di sicuro, però, fino a quando prevarranno l’interesse dei singoli non ci saranno possibilità di rilancio né per l’uno e né per l’altro.