Non c’è stata alcuna risposta alla domanda su quale tipo di prevenzione sarebbe stata prevista dalle nostre autorità nei confronti dei duemilacinquecento cinesi della Toscana recatisi in Cina per il capodanno del loro paese e rientrati in Italia al termine delle feste. Tanto silenzio non stupisce. La preoccupazione prioritaria del nostro governo è di non creare problemi con quello cinese e di evitare comportamenti che potrebbero essere considerati discriminatori per motivi razziali nei confronti della comunità immigrata in Italia.
Ma si può, per il timore di suscitare l’irritazione di Pechino o di subire dalla cultura politicamente corretta della sinistra l’accusa di neo-razzismo, evitare di affrontare apertamente un problema che non solo è particolarmente grande ma suscita la legittima preoccupazione della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica nazionale?
La dimensione della questione è data dall’ampiezza della comunità cinese in Italia. Che è formata da più di trecentomila persone, residenti in gran parte a Prato e nelle grandi città, Roma e Milano in primo luogo. Si tratta di una comunità ben integrata, particolarmente attiva e molto apprezzata dagli italiani per la sua capacità di adattamento e per la totale assenza di motivi di scontro o di contrasto con il resto della popolazione.
Quanti di questi oltre trecentomila si sono recati in Cina per il Capodanno? Quanti di loro sono tornati e dove? E perché mai se un italiano che torna dalla Cina deve passare un periodo di quarantena in un ospedale specializzato, un cinese che torna sempre dalla Cina deve adattarsi ad una prevenzione “fai da te” ponendosi autonomamente in auto-quarantena all’interno della propria casa ed a stretto contatto con la propria famiglia e con la propria comunità?
Si comprende facilmente come un problema così grande sia di difficile soluzione. Non esistono ospedali specializzati così capienti da poter ospitare migliaia e migliaia di cinesi italiani per la quarantena a cui sono sottoposti gli italiani non cinesi. Ma ignorare ostentatamente il problema non significa risolverlo. Significa aggravarlo per paura di una accusa di discriminazione razzista che, però, produce una discriminazione sanitaria.
Perché censire e monitorare i cinesi di ritorno in Italia dalle feste non li discriminerebbe ma consentirebbe di tutelare la loro salute. Una salute indispensabile per l’intera comunità italiana. A quando qualche segnale in proposito?