Conte come Mariano Rumor | Arturo Diaconale

9 Agosto 2018
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La conferenza stampa che il Presidente del Consiglio ha tenuto prima della pausa estiva è stata una sorta di tuffo nel passato. In particolare, un tuffo nella Prima Repubblica, quando a governare erano maggioranze di centrosinistra e il compito di capo del governo, rigorosamente primus inter pares, veniva assegnato all’esponente più centrista del centro rappresentato dalla Democrazia cristiana. Giuseppe Conte si è espresso e ha dimostrato di comportarsi come uno di quei capi dorotei che non guidavano e non dirigevano ma, proprio perché punto di equilibrio di coalizioni compresse e di equilibri interni alla Dc ancora più complicati, dovevano mediare, tranquillizzare, ricomporre, smussare, trovare compromessi. E, nella oggettiva difficoltà di portare avanti un’attività così difficile e faticosa, erano costretti a ricorrere al metodo del rinvio dei problemi nella speranza che il tempo riuscisse a sopire e appianare i fermenti e i contrasti che avrebbero potuto provocare scivoloni e cadute alla coalizione governativa.

Conte come Mariano Rumor? Può essere. Ma proprio perché il paragone non è affatto azzardato, scatta automaticamente un interrogativo. Ma un Governo che si definisce del cambiamento può svolgere la missione che ha promesso al Paese con il metodo doroteo? Rumor placava ma non cambiava. Perché aveva a che fare con i socialisti ancora carichi di massimalismo, con la coscienza critica dei repubblicani, con le richieste dei socialdemocratici, con le istanze dei liberali. In più e soprattutto, doveva trovare il minimo comun denominatore tra fanfaniani e morotei, basisti e forzanovisti e, naturalmente, tra gli stessi dorotei impegnati a lavorare per sfilargli la poltrona.

Anche Conte non cambia ma placa. Innanzitutto le opposte esigenze elettoralistiche dei vice premier Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Poi le ragioni del ministro Giovanni Tria dietro cui vigila il Quirinale. E infine le forsennatezze di una base grillina alimentate di continuo da Beppe Grillo, Davide Casaleggio e dal Presidente della Camera dei deputati Roberto Fico affiancato dai suoi sconclusionati fedelissimi.

E il cambiamento? Si dice. Ma non si fa!