Le due piazze di sabato della scorsa settimana, quella leghista di Piazza del Popolo a Roma e quella dei grillini No-Tav a Piazza Castello a Torino, hanno fornito l’immagine più illuminante e chiarificatrice delle diversità inconciliabili tra i due partiti alleati nel Governo giallo-verde.
A Roma il sentimento dominante dei militanti venuti ad ascoltare le parole del “capitano” Matteo Salvini era la frustrazione di dover continuare a sentirsi con “le mani legate” dai condizionamenti imposti dal Movimento Cinque Stelle. Ed a Torino l’umore generale era assolutamente identico a quello del popolo leghista convenuto nella storica piazza romana. I militanti pentastellati schiumavano rabbia per non poter mandare apertamente a quel paese Salvini ed i suoi seguaci e proclamare ai quattro venti il loro “no” imperativo alla realizzazione di qualsiasi infrastruttura, Tav in testa.
Questi sentimenti identici ed opposti indicano che il proposito sbandierato da Matteo Salvini e da Luigi Di Maio di “durare” per i prossimi cinque anni è del tutto campato in aria. Quando il sentimento dominante espresso dalla pancia di due partiti alleati al governo è quello di separarsi il prima possibile per recuperare la propria libertà d’azione, la separazione è solo questione di tempo. Può verificarsi rapidamente o in tempi meno immediati. Ma il finale di una alleanza così anomala ed innaturale è già scritto. L’interrogativo da porsi, quindi, diventa quello relativo a chi possa convenire maggiormente andare alla rottura cercando di smentire l’antico detto di Pietro Nenni sulle piazze piene e sulle urne vuote.
A stare ai sondaggi, la regola nenniana riguarderebbe il Movimento Cinque Stelle, che riempie Piazza Castello della sua base più ortodossa e tradizionale ma che, se andasse oggi al voto, si troverebbe con le urne drammaticamente svuotate dei consensi ottenuti alle ultime elezioni. I dirigenti pentastellati sono perfettamente consapevoli di questo pericolo. E reagiscono mettendo in azione la componente più movimentista del proprio partito. Quei No-Tav che costituiscono la base identitaria del grillismo e per i quali riscende in campo lo stesso fondatore Beppe Grillo, pronto a risvegliare l’intransigenza estremista della sua creatura a dispetto di tutte le esigenze e le prudenze del gruppo dirigente ministeriale.
I grillini, quindi, cercano di riempire le urne delle prossime elezioni europee ritornando all’estremismo delle origini. Può essere che riescano a sconfessare i sondaggi negativi. Ma è certo che l’alleanza innaturale andrà naturalmente in frantumi.