Non può stupire che i vari governi e i molteplici potentati locali libici abbiano respinto in blocco la richiesta avanzata da Matteo Salvini di costruire centri di accoglienza e di identificazione nelle regioni meridionali dell’ex “scatolone di sabbia”. La creazione di strutture del genere destinate a bloccare il flusso migratorio proveniente dalle zone centrali dell’Africa impedirebbe il fenomeno del passaggio del Mediterraneo da parte dei disperati. E rappresenterebbe non solo la misura protettiva più efficace per il Vecchio Continente rispetto al fenomeno dell’emigrazione di massa, ma costituirebbe il colpo più duro al colossale affare rappresentato dal traffico di essere umani che si è radicato ormai in maniera strutturale nelle zone del Nord Africa prive di serie e forti autorità statali.
Questo fenomeno esisteva anche prima che le cosiddette rivoluzioni arabe, favorite da alcuni governi europei e dall’amministrazione americana di Barack Obama, determinassero la scomparsa dei dittatori nei Paesi della costa meridionale del Mediterraneo. Gheddafi e i vari presidenti tunisini successori di Bourghiba frenavano e controllavano il fenomeno migratorio per usarlo come merce di scambio nei confronti dei Paesi europei. Non era solo il petrolio l’arma con cui il Colonnello teneva in scacco continuo Francia e Italia, ma era anche la possibilità di tenere chiuso a proprio piacimento il rubinetto migratorio in cambio di ogni forma di sostegno e aiuto da parte degli europei. Caduti i dittatori nordafricani, il rubinetto è finito nelle mani di tutti i molteplici potentati in cui si è frazionata soprattutto la Libia e in quelle delle organizzazioni criminali che hanno riscoperto l’antica propensione araba al traffico della carne umana. L’ex ministro dell’Interno, Marco Minniti, ha avuto la giusta intuizione di cercare di frenare il flusso migratorio diventato inarrestabile trattando con i potentati libici, dai sindaci ai capi tribù fino ai più piccoli signori della guerra locali e andando incontro alle loro richieste di denaro. Questa misura si è rivelata efficace nel breve periodo, ma non può essere quella risolutiva. Perché, come si è visto con la brevissima missione africana di Matteo Salvini, impone una sorta di ricontrattazione continua al rialzo da parte di ogni singolo soggetto in grado di aprire o chiudere il metaforico rubinetto di umanità dolente.
Si può, come ha fatto Salvini, proporre di spostare oltre i confini libici i centri di raccolta. Ma anche a volerli piazzare in mezzo al deserto si troverà sempre qualche potentato pronto a usare i migranti come arma di ricatto continuo nei confronti dell’Italia e dell’Europa. Quale soluzione, allora, alla questione? L’unica è di favorire la formazione di Stati più che solidi in grado di cancellare la molteplicità dei ricattatori. E di farlo con ogni mezzo non attraverso l’impegno della sola Italia ma dell’intera Europa. È qui che si gioca il futuro dell’unità europea!