Ma quanti sono i candidati alla segreteria del Partito Democratico? Al momento mezza dozzina ma il numero potrebbe tranquillamente aumentare. Perché c’è chi ci sta pensando ed ancora non ha deciso e chi non ci pensa affatto ma potrebbe deciderlo all’ultimo momento. Un fiorire così rigoglioso di candidature farebbe pensare ad un Partito Democratico in pieno risveglio ed in forte crescita. In realtà è il segno inequivocabile che la crisi non è affatto finita e che tutto questo fermento di aspiranti alla poltrona di comando non è altro che un segno della tendenza del Pd a ripiegare su se stesso nell’incapacità di trovare un nuovo ruolo da svolgere fuori dalle proprie ridotte strutture e dentro la società italiana ed internazionale.
Tanti candidati, infatti, indicano che con ogni probabilità non ce ne sarà nessuno in grado di superare la soglia del cinquanta per cento dei consensi delle primarie e conquistare senza problemi la palma di segretario. I contendenti torneranno così all’Assemblea Nazionale dove si apriranno i giochi dei posizionamenti, delle trattative, delle intese palesi e nascoste sui futuri equilibri interni. Il segretario nascerà da questo rimescolamento del gioco delle correnti e ne sarà fatalmente condizionato. Né più, né meno di quanto lo sia stato Maurizio Martina, che dopo aver svolto il ruolo di segretario dimezzato punta a ripetere l’esperienza nella consapevolezza che se mai venisse confermato sarebbe dimezzato e condizionato molto di più di quanto sia avvenuto negli ultimi mesi.
Un Pd in queste condizioni non serve alla democrazia italiana. Non può essere una alternativa credibile all’attuale coalizione di governo e neppure un alleato possibile di chiunque abbia l’intenzione di dare vita ad un fronte consistente antagonista di Lega e Movimento Cinque Stelle. Non è un caso, allora, che Matteo Renzi abbia deciso di non partecipare alle primarie ed alla vita interna del Pd e sia tutto proiettato nella formazione di quei comitati civici che potrebbero essere l’embrione di una nuova formazione politica.
Questo significa che dopo la fase dei riposizionamenti interni dei singoli capibastone il Pd subirà una nuova scissione? L’ipotesi non è peregrina. E non perché al peggio non c’è mai fine, ma perché se non si arriva al fondo non si può mai risalire.