La difficile partita di Matteo Salvini | Arturo Diaconale

17 Marzo 2018
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Nel passato le elezioni dei presidenti delle Camere costituivano il banco di prova per le possibili maggioranze di governo. Nel presente lo schema appare capovolto. Perché le alleanze che si potrebbero determinare per la scelta dei presidenti delle Assemblee di Montecitorio e di Palazzo Madama avrebbero come possibile conseguenza quella di far saltare ogni possibile ipotesi di futura maggioranza governativa.

Se, come si dice, tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio si crea un asse per assicurare a un esponente leghista il seggio più alto del Senato e a un esponente grillino quello della Camera, è certo che la formazione del governo diventa un rebus difficilmente risolvibile.

Il leader leghista ventila l’ipotesi di un’intesa con Di Maio sulle presidenze delle Camere per mettere sull’avviso Silvio Berlusconi che non accetterà mai di partecipare alla formazione di un governo sorretto dall’appoggio, esterno ma determinante, del Partito Democratico. Salvini teme di finire ingabbiato nella morsa di Forza Italia e Partito Democratico. E usa l’ostentato dialogo con il capo politico del Movimento Cinque Stelle per far capire all’alleato che non accetterà mai di diventare l’oggetto passivo di un rapporto privilegiato tra il Cavaliere e Matteo Renzi.

Dal suo punto di vista il leader leghista non ha torto. Ma la sua posizione è legata alla minaccia di poter allargare l’intesa con i grillini sulle presidenze delle Camere anche al futuro governo. E questa minaccia rischia di innescare un meccanismo di rottura dello schieramento di centrodestra, quello schieramento grazie al quale Salvini può avanzare un legittimo titolo a diventare il Premier della nuova coalizione governativa, ma senza il quale il leader leghista rischia di perdere il titolo in questione e diventare il capo di un partito del 17 per cento destinato a chiudersi nel recinto della destra di stampo lepenista votata solo all’opposizione permanente.

Per scongiurare questo pericolo Salvini avrebbe come unica strada quella di formare sul serio un governo con il Movimento Cinque Stelle. Ma i voti per metterlo in piedi sarebbero pochi e sicuramente molto instabili. E oltre a innescare reazioni incontrollabili all’interno degli elettorali dei due partiti, provocherebbero l’automatica formazione di uno schieramento di tutti gli esclusi dalla alleanza legandoli insieme dall’esigenza di fare fronte comune contro i populismi di diversa estrazione.

Conviene a Salvini rompere il centrodestra per sfuggire al pericolo del possibile asse tra Berlusconi e Renzi? La partita si gioca su questo punto. E sulla capacità dei singoli personaggi impegnati nel gioco di saper meglio guardare e preparare il futuro personale e del Paese.