La vocazione isolazionista del Pd zingarettiano | Arturo Diaconale

5 Marzo 2019
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Nicola Zingaretti garantisce la derenzizzazione del Partito Democratico ed il ritorno a quella identità di sinistra post-comunista che era stata cancellata dal leaderismo liberalriformista dell’ex Presidente del Consiglio. Quanti oggi inneggiano al miracolo della rinascita del Pd compiuto dalle primarie non si rendono conto degli effetti controversi di questo ritorno al passato. Quelli positivi sono sicuramente il richiamo ai fuoriusciti della sinistra post-comunista ed il rientro all’ovile tradizionale di quella parte di elettorato sedotta dal rivoluzionarismo confuso e fasullo del Movimento Cinque Stelle. Sul terreno dei consensi elettorali, quindi, la cura Zingaretti servirà sicuramente a far aumentare i consensi di un partito ritornato alla rassicurante condizione identitaria della linea Pci-Pds-Pd. Ma proprio questa operazione di eliminazione della identità del leaderismo liberalriformista imposta dal renzismo comporterà inevitabilmente come principale effetto negativo l’isolamento politico del partito.

Con molta abilità Zingaretti rispolvera le icone di Romano Prodi e Walter Veltroni per cercare di dimostrare che il suo è un progetto non post-comunista ma solo ulivista, cioè aperto a tutte le componenti del centro e della sinistra, da quelle più moderate a quelle più radicali, unite dall’avversione comune al risorgente fascismo razzista della nuova destra guidata da Matteo Salvini. Ma questo lavoro di trucco e parrucco, oltre ad essere fondato sul postulato sbagliato di un fascismo ed un razzismo risorgenti e del tutto inesistenti nel paese reale, passa inevitabilmente attraverso una radicale rottamazione del renzismo destinata a provocare non solo l’emarginazione dell’ex leader ma anche la presa di distanze da tutte quelle forze d’ispirazione liberale e riformista dell’area centrista che si erano avvicinate al Pd liberato dalla tradizione post-comunista. Non è un caso che Carlo Calenda non nasconda il proprio nervosismo dando per scontato che Zingaretti non accetterà mai la proposta del listone senza simbolo del Pd e segnato dalla presenza di candidati moderati del fronte progressista.

Il progetto del nuovo segretario, infatti, punta sulla riproposizione di un Pd asse portante della sinistra, cioè sull’esatto contrario di quanto chiesto da Calenda. Ed indirizza il partito non ad includere i moderati, ma a recuperare i voti di sinistra finiti nel Movimento Cinque Stelle. Con l’ovvia conseguenza che la scelta obbligata del Pd di Zingaretti non di puntare alla crisi di governo per tentare una difficile alleanza con i grillini, ma per andare ad elezioni anticipate per recuperare il maggior numero di consensi in una condizione di sostanziale isolamento. In base al principio del “primum vivere, deinde”… trovare eventuali alleati!