L’idea di azzerare il nucleo dirigente della Banca d’Italia non è stata espressa solo da Matteo Salvini e Luigi Di Maio ma anche da Matteo Renzi e, prima ancora, da alcuni esponenti del centrodestra ai tempi della parabola crescente del berlusconismo. Agli occhi dell’attuale governo le ragioni dell’azzeramento sono sostanzialmente identiche a quelle del rottamatore Renzi e dei primi entusiasti sostenitori della rivoluzione liberale del Cavaliere. Bankitalia non è solo una autorità indipendente ed autonoma della Repubblica. Ma è una componente indispensabile dell’assetto istituzionale dell’Italia Repubblicana del secondo dopoguerra. In particolare, è diventata nel corso degli anni e, specialmente, alla caduta della Prima Repubblica, una sorta di riserva intoccabile dell’assetto istituzionale tradizionale dove attingere per individuare i tecnici ed i gruppi dirigenti da utilizzare in caso di crisi delle forze portatrici di nuovi assetti politici. In questa luce, appare evidente come prima i berlusconiani, poi i renziani ed ora i leghisti ed i grillini abbiano avuto e vogliano fare di tutto per far saltare una delle ultime ridotte dei vecchi assetti, quella carica del compito storico di sostituire i “nuovisti” della Seconda e della Terza Repubblica e restaurare il vecchio regime. Tanto più che il comportamento di Bankitalia non è stato certo estraneo alle crisi degli istituti di credito degli ultimi anni alimentando quell’ansia punitiva che sembra essere sempre di più la unica e sola motivazione di fondo dell’attuale governo a guida grillina.
Con simili presupposti che avrebbero potuto promettere Salvini e Di Maio ai correntisti traditi della Banca di Vicenza se non la punizione di Bankitalia? Purtroppo, però, in casi come questi una buona motivazione non basta. Serve anche definire il nuovo quadro in cui inserire Bankitalia, istituzione che può essere criticata quanto si vuole ma non si può cancellare senza avere neppure mezza idea di come sostituirla.
Questa idea non c’è al momento. C’è solo l’ansia di annunciare un atto punitivo che possa placare una folla carica di giuste ragioni di protesta. Il governo non ha tempo e voglia per riflettere, studiare, predisporre progetti. Rincorre l’occasione contingente e spara minacce punitive contro chi capita. Governare in questo modo può servire a placare l’opinione pubblica nel breve periodo. Alla lunga stanca, irrita, scatena la reazione di chi avverte la necessità di un Esecutivo raziocinante e non istintivo. Ai giacobinismi, infatti, segue sempre la fase del Termidoro!