Se Lega e Movimento 5 Stelle dovessero formare un governo da soli al Senato la loro maggioranza avrebbe 167 voti. Cioè appena due voti in più del numero di suffragi necessario per tenere in vita il governo.
È vero che in democrazia si può governare anche con un solo voto in più. Ma è altrettanto vero che l’esperienza del passato dimostra come un margine esiguo non garantisca alcuna tenuta della coalizione governativa e metta il governo in balia degli umori e degli interessi variabili di pochissimi parlamentari.
L’alleanza di governo tra Lega e M5S, dunque, non esiste non solo sul piano programmatico e dei valori ma soprattutto su quello numerico. Tanto più che una coalizione del genere renderebbe automatica la presidenza del Consiglio per Luigi Di Maio ed un ruolo subalterno per Matteo Salvini. E in queste condizioni per il leader leghista sarebbe molto difficile mantenere il successo elettorale del 4 marzo sotto i colpi continui dei partner abbandonati del centrodestra, Silvio Berlusconi in testa.
È probabile che sia stato questo calcolo a spingere Matteo Salvini a ribadire che l’alleanza di governo con i grillini si può fare solo a condizione che il centrodestra rimanga unito e a respingere di fatto il tentativo di Luigi Di Maio di spaccare la coalizione moderata e isolare la Lega rispetto a Forza Italia e Fratelli d’Italia. Ed è ancora più probabile che sia proprio una considerazione del genere il principale collante destinato a mantenere ancora unito il centrodestra. Tanto più che un governo a guida leghista, l’unico strumento in grado di dare a Salvini la prospettiva di diventare il leader incontrastato dell’area moderata assumendo di fatto la successione della vecchia leadership di Berlusconi, non avrebbe mai il via libera di Di Maio consapevole che per il Movimento Cinque Stelle, la conquista di Palazzo Chigi, è la sola possibilità di mantenere unito il partito e il proprio elettorato.
Ed allora come si esce dalla crisi? O con il suicidio politico di Salvini in caso di rottura del centrodestra e la scelta di sostenere da solo un governo a guida grillina o con la presa d’atto di Luigi Di Maio che la politica dei veti e degli ostracismi è fallita.