L’illusione del Premier Giuseppe Conte | Arturo Diaconale

1 Novembre 2018
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È sicuramente un fattore di coesione e di tenuta della compagine governativa il rapporto di “forte intesa personale” (così l’ha definito il Presidente del Consiglio) tra Giuseppe Conte ed i suoi vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini. La stima e l’amicizia sono in grado di appianare questioni che la diffidenza può rendere insormontabili. Per cui è sicuramente un bene che Conte, Di Maio e Salvini vadano talmente d’accordo da trasformare la loro intesa personale nel pilastro principale su cui poggia la tenuta del Governo giallo-verde.

Ma illudersi che basti sempre il messaggino sul telefono o la cena in trattoria per tenere l’Esecutivo al riparo da tempeste letali è una pia illusione. Perché i rapporti personali dipendono dai caratteri e dalle simpatie dei singoli mentre quelli politici non possono mai prescindere dalle idee e dagli interessi che i singoli rappresentanti dei partiti hanno il compito di portare avanti.

Conte, che non ha alle spalle altro che la propria storia di avvocato e giurista, può anche pensare che porre i rapporti tra le persone come fondamento della tenuta del Governo sia una soluzione stabile. Ma Di Maio e Salvini, che non possono non tenere conto del compito di rappresentare al vertice del Paese gli interessi e le passioni dei loro elettori, sanno perfettamente che l’“intesa personale” passa sempre e comunque in second’ordine di fronte alle istanze non mediabili dei propri rappresentati.

Matteo Salvini, che ha alle spalle un partito nato con caratteristiche cesaristiche e che è abituato a considerare il proprio ruolo di leader in maniera leninista, può permettersi alle volte di far prevalere l’amicizia con Conte e Di Maio rispetto alle attese dei leghisti. Ma se il leader della Lega non ha difficoltà a far accettare alla sua base che a bilanciare la rinuncia a qualche istanza c’è l’esigenza superiore di rimanere comunque al governo e non gettare il Paese nel caos, per Luigi Di Maio questa difficoltà esiste e non è aggirabile. Perché la base grillina non è abituata alla mediazione imposta dalla funzione di governo e pone le proprie esigenze come scelte ideologiche assolutamente inderogabili. I casi Tap e Tav sono indicativi.

Di Maio può sempre minacciare espulsioni e misure di repressione nei confronti dei dissidenti. Ma sa bene che se forza la mano si ritrova con la rivolta generalizzata di chi è convinto che il voto del 4 marzo non ha segnato la nascita di un governo parlamentare, ma la conquista della Bastiglia e del Palazzo d’Inverno messi insieme.

Conte, dunque, farebbe bene a non illudersi. Quando il gioco si farà duro, i duri del M5S e lo stesso Salvini imporranno la cancellazione dell’“intesa personale”.