L’impossibile riedizione del Piano Marshall | Arturo Diaconale

16 Gennaio 2019
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Qualcuno avvisi il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e quanti vanno predicando che per risolvere il problema delle migrazioni è necessario compiere grandi investimenti nei Paesi da cui i migranti fuggono, che questa ricetta non funziona. O meglio, può funzionare solo a condizione che i Paesi investitori, cioè l’Italia e quelli europei ed occidentali, possano esercitare un qualche controllo su come i finanziamenti vengono utilizzati.

Chi evoca il Piano Marshall e ne propone l’applicazione per aiutare i disperati “a casa loro” dimentica che il piano di aiuti americani ai Paesi europei usciti devastati dalla Seconda guerra mondiale non venne realizzato solo per spirito umanitario, ma anche (e soprattutto) perché le nazioni beneficiarie erano entrate a far parte dell’area d’influenza degli Stati Uniti senza avere alcuna possibilità di uscirne a causa della “Guerra fredda” che sarebbe scattata proprio in quegli anni.

L’Europa occidentale, in sostanza, era diventata un protettorato degli Usa. Il ché rappresentò l’unica strada d’uscita dalle conseguenze di una guerra rovinosa e la sola possibilità di gettare le basi per quel futuro di pace, stabilità e benessere andati avanti per i successivi settant’anni. Sempre di protettorato, però, si trattò. Un protettorato che se uno dei governi beneficiari del Piano Marshall avesse indirizzato i finanziamenti non verso lo sviluppo ed il rilancio dell’economia ma, ad esempio, verso il riarmo della propria nazione in vista di possibili revanscismi, non sarebbe rimasto immobile ma sarebbe intervenuto per fermare la deriva verso nuove e drammatiche avventure.

A denunciare a quel tempo il protettorato americano furono solo quelli che avrebbero preferito entrare a far parte dell’impero comunista. Tanto che la loro denuncia divenne talmente ridicola da cancellare addirittura anche la definizione di una condizione di oggettiva subalternità. Essere realisti, però, impone di sapere che senza esercitare un controllo stretto sui governi africani, nella quasi totalità segnati dalla vocazione autoritaria, ogni aiuto sarebbe fatalmente destinato o a sempre maggiori armamenti o alla corruzione dei gruppi dirigenti, oppure all’uno ed all’altro.

Marshall, in fondo, non era un volontario di qualche organizzazione caritatevole. Era un generale degli Stati Uniti!