Sul Corriere della Sera di domenica scorsa Aldo Grasso ha accusato il consigliere di amministrazione uscente della Rai Guelfo Guelfi di aver contribuito alla cacciata dell’ex amministratore delegato dell’azienda pubblica radiotelevisiva, Antonio Campo Dall’Orto, e di aver così mandato all’aria il progetto di Dall’Orto di trasformare la Rai in una media company moderna. Sono anch’io un consigliere di amministrazione uscente e, sia pure nella condizione di rappresentante dell’ opposizione alla maggioranza di stretta osservanza renziana che aveva espresso e sostenuto l’allora amministratore delegato, ho negato il sostegno a Campo Dall’Orto. Ma non intendo né svolgere il ruolo di avvocato d’ ufficio di Guelfi, né compiere una sorta di giustificazione postuma della mia opposizione all’ex capo dell’ azienda Rai. Mi preme semplicemente rilevare come Aldo Grasso, principe dei critici radiotelevisivi, dimostri di non capire un accidente quando sostiene che l’avvento della media company avrebbe evitato la trasformazione della Rai in bottino di guerra dei partiti e rilancia la proposta della privatizzazione come soluzione salvifica per il servizio pubblico.
Il venerato maestro sembra non aver ben seguito le vicende della Rai negli ultimi anni. E ignora che non solo la lottizzazione è stata già superata ma anche che la privatizzazione è già stata realizzata. Grasso, infatti, non tiene conto che la riforma della Rai avvenuta negli anni del renzismo imperante ha trasformato il direttore generale in amministratore delegato assicurandogli tutti i poteri di gestione dell’azienda e attribuendo ai consiglieri di amministrazione soltanto un’ unica facoltà: quella di votargli contro.
Grasso, inoltre, sembra non sapere che la nomina del super-amministratore delegato spetta al governo in carica. Il ché cancella di fatto la vecchia pratica della lottizzazione dei partiti e trasforma la Rai in chiusa riserva di caccia dell’ inquilino di Palazzo Chigi. In questo modo si compie in concreto anche quella privatizzazione che secondo il distratto Grasso sarebbe la panacea dei problemi della Rai. L’eliminazione del pluralismo a vantaggio esclusivo della forza politica dominante trasforma il servizio pubblico in servizio privato del governo. Con un ritorno al passato di più di settant’anni, quando la Rai si chiamava Eiar ed era lo strumento di comunicazione privato del regime fascista.
Naturalmente Grasso quando parla di privatizzazione non si riferisce a quella politica ma a quella che prevede la vendita della Rai a soggetti privati. E forse immagina che tra questi soggetti potrebbe figurare anche il suo editore. Ma al venerato maestro andrebbe spiegato che il mercato mediatico italiano non è più chiuso e domestico ma aperto e spalancato alle grandi società internazionali, che non sono media company ma molto di più. Grasso ha mai sentito parlare di Sky, di Vivendi o della stessa Bbc? E ha mai pensato che in quel caso privatizzazione significherebbe colonizzazione?
Se preferisce la colonizzazione e il ritorno all’Eiar al controllo del Parlamento, lo dica. Ma senza maramaldeggiare inutilmente!