Con il risultato, aggiunge la stessa vulgata alimentata dai media che cavalcano il populismo qualunquista, che l’azienda radiotelevisiva di Stato, con la bocciatura del suo direttore generale e amministratore delegato, viene paralizzata a causa dell’ingorda ingerenza dei partiti e dei loro referenti. È normale che il Dg-Ad sfiduciato dal Consiglio d’Amministrazione si aggrappi a questa versione per uscire di scena nel miglior modo possibile. Ma è decisamente bizzarro che ad avallare questa tesi sia chi è stato messo al vertice di viale Mazzini dal Governo e non possa ignorare che il Consiglio d’Amministrazione con cui si è misurato durante quasi due anni ed è stato sfiduciato sul piano dell’informazione sia il frutto di una elezione parlamentare. La politica non è rientrata nella Rai per la semplice ragione che non ne è mai uscita. E non avrebbe potuto neppure farlo visto che una legge di riforma ha attribuito al Governo il ruolo di editore di riferimento dell’azienda radiotelevisiva pubblica dotando il Dg-Ad, sua espressione diretta, di poteri molto più ampi rispetto al passato. Questa legge, poi, non ha per nulla cambiato la fonte di legittimazione e di elezione del Cda, che è rimasto sempre il Parlamento ma si è limitata a stabilire un nuovo meccanismo per l’elezione dei consiglieri rinviandone l’applicazione a metà del 2018, cioè a scadenza dell’attuale consiliatura. Campo Dall’Orto, quindi, non è venuto da Marte ma direttamente dalla Leopolda. Così come i consiglieri non sono spuntati da sotto un cavolo ma dalle indicazioni dei partiti rappresentati in Parlamento. Tutto questo non è un male, un abominio, una scelleratezza, come vorrebbero far credere i qualunquisti populisti e i sostenitori dello sfiduciato direttore generale della Rai. Ma è solo e soltanto la conseguenza di regole democratiche che potranno essere anche imperfette ma che non hanno ancora trovato un’alternativa migliore e rispettosa della volontà del corpo elettorale. È la democrazia! E va difesa perché non c’è di meglio!
24 Maggio 2017
Adesso la vulgata favorevole ad Antonio Campo Dall’Orto sostiene che la bocciatura del piano sull’informazione è stato solo un pretesto dietro il quale si è nascosto l’obiettivo di riportare la Rai sotto il tallone della politica.