Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte approfitta dell’emergenza imposta dal coronavirus per lanciare un appello all’unità nazionale che di fatto dovrebbe costituire un atto di fiducia piena e senza distinguo di sorta alle decisioni ed alle scelte del proprio governo.
L’appello raccoglie l’immediata adesione delle forze della coalizione governativa. I partiti che fino all’altro ieri sembravano ad un passo dalla rottura si affrettano a rinviare il cosiddetto chiarimento a data da destinarsi per non assumersi la responsabilità di provocare una crisi in un momento di così grande difficoltà. E le stesse forze dell’opposizione riducono le proprie polemiche nei confronti dell’esecutivo ammettendo implicitamente che in nome dell’unità nazionale non si debbono creare problemi al governo.
Il paese formale, dunque, aderisce rapidamente e facilmente all’appello di Conte mettendo da parte, almeno per il momento, i dissidi, i contrasti, le accuse e le ripicche che avevano alimentato nelle settimane scorse i pericoli di una crisi dagli sbocchi non prevedibili.
Ma il paese reale è disponibile ad adeguarsi all’indicazione proveniente da quello formale? Tra i suoi tanti effetti il coronavirus ha riprodotto in maniera netta ed inequivocabile la distinzione tra i due paesi, quello delle istituzioni che opera nel Palazzo e quello della società civile che vive nella penisola. Il Palazzo si stringe attorno a Conte firmando una sorta di cambiale in bianco al governo. La società civile continua a non fidarsi affatto di un governo e di un Parlamento che non più tardi di una settimana fa sembravano spinti verso l’abisso dal peso del discredito di cui erano caricati.
Conte, in sostanza, può convincere i partiti a concedergli una tregua in nome dell’emergenza nazionale. Ma non è in grado di raccogliere la fiducia della maggioranza degli italiani a cui non viene affatto spiegato perché mai il nostro paese sia passato da quello più affetto d’Europa da pregiudizio razzista a quello più affetto di coronavirus del Vecchio Continente.
Conte, naturalmente, se ne può tranquillamente infischiare del paese reale. Finché quello formale lo sostiene rimane senza scosse a Palazzo Chigi. Ma l’emergenza è come l’epidemia. Presto o tardi finisce. Ed allora i conti si pagheranno con il sovrapprezzo della rabbia popolare repressa!