Il solito sfoggio di slide colorate non è riuscito a nascondere i limiti e le carenze di una riforma ispirata ancora una volta alla cultura giustizialista divenuta egemone nel Paese.
Di qui l’iniziativa del Tribunale Dreyfus di inviare una lettera aperta al premier per contestare le linee guida del provvedimento ma, soprattutto, per proporre le misure più adeguate per modificare le storture più eclatanti del sistema giudiziario e ricostruire un clima di maggiore fiducia dei cittadini nel confronti del mondo della giustizia.
“Le linee guida della riforma della giustizia predisposte dal ministro Andrea Orlando – è stato rilevato nella lettera aperta – non segnano un’inversione di tendenza rispetto alla deriva giustizialista in atto ormai da alcuni decenni. Indicano, al contrario, la volontà di continuare a trasformare lo stato di diritto fondato sulle garanzie dei cittadini in uno stato autoritario incentrato sulla supremazia della casta ristretta dei magistrati. Il Tribunale Dreyfus – ha concluso la lettera – mette in guardia il governo e la maggioranza dal procedere nella realizzazione di provvedimenti d’ispirazione controriformista. Ribadisce che non può esserci una vera riforma della giustizia senza affrontare le tematiche sotto indicate e senza prevedere, a completamento del disegno riformatore, un’adeguata ed inderogabile amnistia. E preannuncia che, in caso di misure destinate a vanificare la richiesta di una riforma per una giustizia giusta, diventerà inevitabile il ricorso allo strumento del referendum abrogativo”.
Quali dovrebbero essere le misure indispensabili per una giustizia giusta e non distorta? Il Tribunale Dreyfus ha indicato dodici punti specifici: 1) La responsabilità civile dei magistrati, per assicurare la fine dei privilegi di casta e l’uguaglianza tra i cittadini; 2) La lotta all’abuso della custodia cautelare, per ripristinare il principio costituzionale della presunzione d’innocenza; 3) La riforma del Csm, per liberare l’organo di autocontrollo della magistratura dai condizionamenti delle correnti; 4) La separazione delle carriere, per eliminare il sistema che trasforma l’inquirente in giudicante e ridare la terzietà al giudice; 5) La revisione dell’obbligatorietà dell’azione penale, per evitare ogni possibilità di arbitrio nell’esercizio dell’azione penale; 6) La ridefinizione del ruolo istituzionale dell’ordine giudiziario, per scongiurare la deriva verso la Repubblica delle Toghe; 7) Il rientro delle funzioni proprie dei magistrati, per assicurare più magistrati nei tribunali e meno magistrati nelle amministrazioni; 8) La rottamazione delle cause civili attraverso camere arbitrali, per smaltire l’enorme arretrato della giustizia civile; 9) L’applicazione di procedure di negoziazione assistita, per assicurare un contenzioso civile più veloce; 10) L’abolizione dell’ergastolo, per eliminare l’assurdo disumano del fine pena mai; 11) La definizione più stretta dei reati di concorso esterno, per chiudere una volta per tutte la fase delle legislazioni emergenziali; 12) La creazione di strumenti contro le degenerazioni del circuito mediatico-giudiziario, per abolire la pratica della gogna mediatica che anticipa la pena prima di qualsiasi giudizio e sentenza.
La lettera aperta a Matteo Renzi ha di fatto avviato l’attività del Tribunale Dreyfus, che è andata avanti nel 2014 e nella prima parte del 2015 con gli incontri incentrati sui contro-processi ai casi di malagiustizia di maggiore attualità. Da questa esperienza è successivamente nato il movimento “Vittime della Giustizia e del Fisco”, che grazie all’impegno del senatore Giovanni Mauro è oggi rappresentato in Parlamento. Nell’affrontare questioni legate alla tutela dei diritti umani e civili è emersa con chiarezza assoluta l’insofferenza crescente della maggioranza degli italiani nei confronti di uno Stato non più democratico, ma solo burocratico, che calpesta e tradisce il contratto sociale con i propri cittadini.
Questo Stato non riesce più ad assicurare sicurezza e stabilità. Produce servizi sempre più degradati e sempre più rivolti non ad assicurare il benessere dei cittadini ma la sopravvivenza degli apparati burocratici e clientelari da cui vengono realizzati. E per finanziare le caste privilegiate che hanno occupato le istituzioni, impone una cappa di oppressione sull’intera società nazionale attraverso il peggiore sistema giudiziario europeo ed il più rapace e pesante sistema fiscale dell’intero Vecchio Continente.
È per questa ragione che il movimento “Vittime della Giustizia e del Fisco” non ha la caratteristica di un soggetto politico monotematico, ma è un’iniziativa rivolta a mobilitare i cittadini sulle due sole e grandi questioni da cui dipende il presente ed il futuro del Paese. Battersi per una giustizia giusta e per un fisco equo non è una battaglia di settore, ma rappresenta l’unica e più grande battaglia che, senza i condizionamenti ideologici delle tradizionali appartenenze partitiche, difende gli interessi reali e materiali dei cittadini e dell’intera comunità nazionale. Una giustizia ingiusta ed un fisco rapinatore sono i fattori principali del declino e della crescente difficoltà di uscire dalla crisi. Un sistema giudiziario efficiente ed un fisco leggero costituiscono l’unica ricetta da applicare per invertire il declino e puntare sulla ripresa.
Quanti sono gli italiani colpiti direttamente o indirettamente dagli effetti perversi di una giustizia penale dominata dall’incertezza della pena e dalla casualità di un giudizio che spesso tracima nell’arbitrio? Quanti quelli che hanno subito e subiscono la lentezza esasperante della giustizia civile e le bizzarrie di quella amministrativa? E quanti quelli che vengono bersagliati quotidianamente e ferocemente da un sistema fiscale fatto di infiniti balzelli che strappa annualmente a qualsiasi cittadino molto più della metà del proprio reddito?
La speranza di “Vittime della Giustizia e del Fisco” è di dare voce a questi cittadini. E di farlo non solo con la denuncia della condizione di sopraffazione a cui sono sottoposti gli italiani, ma anche con l’impegno diretto nella vita pubblica allo scopo di operare concretamente per le due grandi riforme da cui dipende la vita dei cittadini e la sopravvivenza del Paese: quella della giustizia e quella del fisco.