Quando i sondaggi indicano che il governo può contare sul consenso di oltre il sessanta per cento del Paese forniscono una notizia matematicamente esatta ma politicamente del tutto fasulla. Perché è vero che Lega e Movimento Cinque Stelle, anche se con percentuali di consenso ribaltate rispetto ai risultati delle ultime elezioni politiche, raggiungono insieme un gradimento popolare estremamente ampio. Ma è ancora più vero che a consentire di conseguire un risultato del genere non è la comune volontà degli elettorati della Lega e del Movimento Cinque Stelle, ma il solo patto di governo sottoscritto da due forze politiche espressioni di due volontà popolari non solo totalmente diverse ma anche profondamente antagoniste tra di loro.
Mettere insieme il presunto 36 per cento della Lega con l’altrettanto presunto 24 per cento del Movimento Cinque Stelle è, dunque, un’operazione matematica. Ma ricordare che il 60 per cento della somma delle due percentuali è il frutto non del voto degli italiani ma dell’alchimia parlamentare escogitata dai due partiti per mettere in piedi un governo di opposti è una normale accortezza politica. Tesa a ricordare che il governo non poggia su un forte ed univoco consenso popolare, ma su un compromesso tra due partiti antagonisti che si regge sul compromesso continuo e che, per questa evidente ragione, ha una natura estremamente precaria.
La questione della Tav va analizzata sulla base della osservazione politica e non di quella matematica. Gli elettori di Lega e di Cinque Stelle chiedono sulla Torino-Lione soluzioni opposte. E non per ragioni di merito, ma per ragioni di principio. La Tav è diventata un simbolo. Per i leghisti del modello di crescita, per i grillini del modello della decrescita. La logica vorrebbe che su questioni di principio di tale significato e portata non ci fosse possibilità di compromesso. Invece, così come il patto di governo tra inconciliabili ha consentito la nascita del governo giallo-verde, è possibile che l’esigenza di tenere in vita lo stesso governo almeno fino alle prossime elezioni europee consenta di trovare una qualche soluzione almeno temporanea.
D’altro canto, un governo fondato sulla precarietà non può che produrre che soluzioni precarie. Ovviamente sulla pelle del Paese!