La scelta di Matteo Salvini | Arturo Diaconale
ANSA/Giuseppe Lami

17 Maggio 2018
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Il punto di arrivo sembra essere quello di partenza. All’indomani del voto del 4 marzo chi sosteneva la necessità di un governo formato dai partiti vincitori, cioè Movimento 5 Stelle e Lega, teorizzava che un Esecutivo fondato su queste due forze avrebbe potuto trovare un punto di equilibrio con il Premier pentastellato e alcuni ministeri chiave assegnati a esponenti leghisti. Chi avanzava questa ipotesi applicava, probabilmente senza rendersene conto, la vecchia logica lottizzatrice del Manuale Cencelli: ai grillini che avevano ottenuto il 32,5 per cento la guida del governo, alla Lega che aveva superato il 17 almeno il ministero dell’Interno e quello dell’Economia.

Dopo più di settanta giorni di crisi sembra che lo sbocco sia proprio quello previsto dai meccanismi della Prima Repubblica. Il ché non stupisce o scandalizza visto che da che mondo e mondo gli accordi tra partiti diversi debbono necessariamente tenere conto dei rapporti di forza. Quei rapporti che vedono il Movimento Cinque Stelle fornito del quasi il doppio di voti della Lega e, quindi, pienamente legittimato a poter esprimere il Presidente del Consiglio di un governo formato da questi due partiti.

Ciò che colpisce nella vicenda, semmai, è la tranquillità con cui Matteo Salvini ha rinunciato a far contare nella trattativa il peso del proprio ruolo di leader di un centrodestra giunto al 37,5 per cento accettando di buon grado di rappresentare solo il proprio partito del 17. Si è detto, e lo stesso Salvini lo ha ripetuto più volte, che la nascita del Governo giallo-verde non comporta affatto la rottura dello schieramento di centrodestra. Ma un conto solo le parole e le rassicurazioni e un conto sono i fatti. E i fatti dicono che per far nascere questo Esecutivo il leader della Lega ha rappresentato solo il proprio partito e ha rinunciato a far valere, come sarebbe potuto avvenire se il Premier non fosse stato un esterno a M5S e a Lega, il peso della propria leadership nel centrodestra.

Salvini, in sostanza, ha preso le distanze dal resto dello schieramento con cui aveva partecipato alla competizione elettorale del 4 marzo. Può essere che la scelta non sia irreversibile, ma sarebbe irrealistico considerarla irrilevante. Pur di far nascere il governo il capo della Lega ha preferito essere partner minoritario di Luigi Di Maio piuttosto che leader del centrodestra. Spirito di servizio nei confronti del Paese o salto mortale senza rete?